Le Mille e Una Notte Storia della Principessa Giulnar La Marina.
Le Mille e una Notte Storia del Principe Ahmed e della Fata Pari Banu I Grandi Classici Cultura Didattica Educazione Le Mille e Una Notte nell'enciclopedia Altre storie delle Mille e Una Notte Storia di Badr Principe di Persia e della Primcipessa Giawh FIglia del Re As Samandal LE MILLE E UNA NOTTE - STORIA DELLA PRINCIPESSA GIULNAR LA MARINASire, disse allora la bella schiava, il mio nome è Giulnàr la Marina; il mio defunto padre era uno dei più potenti re del mare, e morendo lasciò il suo regno a mio fratello Salih ed alla regina mia madre, che è figlia di un altro re potentissimo. Noi vivevamo tranquillamente nel nostro regno e in grande pace, quando un nemico invidioso della nostra felicità entrò nei nostri stati con un potente esercito, penetrò fino alla nostra capitale, e se ne impadronì, e noi avemmo appena il tempo di salvarci in un luogo inaccessibile con alcuni ufficiali fedeli che non ci abbandonarono. In quel rifugio mio fratello non cessava di pensare a tutti i mezzi possibili per cacciare l'usurpatore dai nostri stati, e un giorno mi chiamò in disparte e mi disse: «Sorella mia, il risultato delle più piccole imprese può essere molto incerto: io posso soccombere in quella che medito, per rientrare nei nostri stati, e sarei meno addolorato per la mia disgrazia, che per quella che potrebbe accadere a te. Per evitarla e preservartene, desidero prima vederti maritata. Ma nel cattivo stato in cui sono i nostri affari, capisco che non puoi sposare nessuno dei nostri principi del mare e desidererei che tu accettassi di sposarti con un principe della terra. Sono pronto ad adoperarmi per questo in tutti i modi possibili e sono certo che con la tua bellezza chiunque, per potente che sia, si considererebbe fortunato di farti partecipe della sua corona». Questo discorso di mio fratello mi suscitò una grande collera contro di lui. «Fratello mio», gli dissi, «io discendo come te da un re e da una regina del mare, senza alcuna alleanza con i monarchi della terra. Io non voglio abbassarmi e ne ho fatto giuramento dacché ho avuto sufficiente intelligenza per accorgermi della nobiltà e dell'antichità della nostra stirpe. Lo stato in cui siamo ridotti non mi obbligherà a cambiare risoluzione: e se tu devi morire nell'esecuzione del tuo piano, sono pronta a morire con te piuttosto che seguire un consiglio che non mi sarei aspettato da te.» Mio fratello, ostinato nell'idea di questo matrimonio che non mi andava a genio, cercò di dimostrarmi che vi sono dei re della terra che non sono in niente inferiori a quelli del mare. Mi adirai allora con tanto sdegno che ciò mi procurò dei rimproveri da parte sua, per cui fui punta sul vivo. Egli mi lasciò tanto poco contenta di me quanto io ero scontenta di lui, ed essendo molto indispettita, risalii dal fondo del mare ed andai ad approdare sull'isola della Luna. Malgrado la grande ira che mi aveva spinta a gettarmi su quell'isola, vi vissi molto felice e mi ritirai in luoghi remoti, dove stavo comodissima. Nonostante queste precauzioni, un uomo di aspetto distinto, accompagnato da domestici, mi sorprese mentre dormivo e mi condusse a casa sua. Egli mi dimostrò molto amore e non tralasciò nulla di ciò che poteva persuadermi a corrisponderlo, ma quando vide che non guadagnava nulla con la dolcezza pensò che sarebbe riuscito meglio con la forza. Peraltro io lo feci pentire della sua insolenza, e così bene che decise di vendermi, e fui comprata dal mercante, che mi ha condotta e venduta alla maestà vostra. Questo mercante era un uomo saggio, dolce e umano, e durante il lungo viaggio che mi fece fare, non mi ha mai dato occasione di lamentarmi di lui. «Quanto a voi sire», continuò la principessa Giulnàr, «se non aveste avuto per me tutte le premure delle quali vi sono riconoscente; se non m'aveste dato prove d'amore della cui sincerità non ho potuto dubitare; se, senza esitare, non aveste cacciato tutte le vostre mogli, non esito a confessare che non sarei rimasta con voi. Mi sarei gettata in mare da quella finestra dove m'incontraste la prima volta, e sarei andata a ritrovare mia madre, mio fratello e i miei parenti. E avrei ancora mantenuto questo proposito, e l'avrei anzi posto in atto se, dopo un certo tempo, avessi perso la speranza d'una gravidanza. Ora, nello stato in cui sono, mi guarderei bene dal farlo; difatti per quanto io possa dire, mia madre e mio fratello, non crederebbero mai che io sia stata schiava di un re come la maestà vostra, e mai mi perdonerebbero il fallo commesso contro il mio onore acconsentendo al vostro amore. Per questo, sire, sia che metta al mondo una principessa o un principe, sarà un pegno che mi obbligherà a non separarmi mai più dalla maestà vostra; spero anche che non mi considererete più una schiava, ma una principessa non indegna di essere vostra sposa. Così la principessa Giulnàr terminò di raccontare la sua storia al re di Persia. «Mia leggiadra ed adorabile principessa», esclamò allora quel monarca, «quale storia meravigliosa mi avete narrato! Quanta curiosità avete suscitato in me di interrogarvi ancora su cose così straordinarie! Ma prima di tutto debbo ringraziarvi della vostra bontà e della vostra pazienza nel mettere alla prova la sincerità e la costanza del mio amore! Io non credevo di potervi amare più di quanto già vi amavo; ma ciò nonostante, dacché so che voi siete una così amabile principessa, io vi amo mille volte di più!... Ma che dico mai? Principessa! Signora, ora non lo siete più; ora siete la mia regina e la regina della Persia, come io ne sono il re: questo titolo sarà presto conosciuto in tutto il mio regno. Da domani risuonerà nella mia capitale con feste quali non si sono mai viste, che faranno sapere a tutti che voi siete la mia moglie legittima. Ciò sarebbe accaduto già da lungo tempo, se mi aveste tolto prima dal mio errore; infatti nel momento stesso in cui vi ho veduta, ho avuto lo stesso pensiero di oggi, di amarvi sempre e di non amare altra donna che voi. Prima che soddisfaccia me stesso e vi renda quanto vi è dovuto, vi supplico, signora, di informarmi più particolarmente su questi stati e popoli del mare, per me sconosciuti. Avevo sentito parlare di uomini marini, ma avevo sempre ritenuto che quanto mi si diceva fosse una favola. Eppure non c'è nulla di più vero, da ciò che ne dite, e voi stessa ne siete la prova più sicura, voi che appartenete al mare e che avete voluto essere mia moglie, accordandomi una preferenza di cui io solo al mondo posso vantarmi. Vi è una cosa però che mi dà da pensare e che vi supplico di spiegarmi. Non posso capire come potete vivere, operare, muovervi nelle acque senza annegare. Solo pochi fra noi sono capaci di restare sott'acqua; ma anche loro morirebbero, se non uscissero dopo un certo tempo, ciascuno secondo la sua destrezza e la sua forza.» «Sire», rispose la regina Giulnàr, «accontenterò la maestà vostra con molto piacere. Noi camminiamo sul fondo del mare nello stesso modo con cui si cammina sulla terra, e respiriamo nell'acqua come si respira nell'aria; perciò, invece di soffocarci come soffoca voi, l'acqua contribuisce alla nostra vita. E, cosa ancora più notevole, essa non bagna i nostri abiti tanto che, quando veniamo sulla terra, ne usciamo senza aver bisogno di asciugarli. E il nostro linguaggio è quello con cui si esprime la Scrittura incisa sul suggello del gran profeta Salomone, figlio di David. Inoltre l'acqua non ci impedisce di vedere nel mare; teniamo infatti gli occhi aperti senza soffrire nessun inconveniente; e siccome li abbiamo eccellenti, ad onta della profondità del mare, vediamo chiaro così come si vede sulla terra. E la stessa cosa si può dire per la notte; la luna ci rischiara, e i pianeti e le stelle non ci sono nascosti. Ho già parlato dei nostri regni, e siccome il mare è assai più spazioso della terra, ne consegue che essi sono più numerosi e assai più grandi. Essi sono divisi in province, e ciascuna provincia ha parecchie città popolatissime. Vi sono infine molte nazioni, con usi e costumi differenti, come sulla terra. I palazzi dei re e dei principi sono grandiosi e magnifici; ve ne sono di marmo di differenti colori, di cristallo di rocca di cui vi è grande abbondanza nel mare, di madreperla, di corallo e di altri materiali preziosi. L'oro, l'argento ed ogni specie di pietre preziose vi si trovano più che sotto terra, e non parlo delle perle, perché anche le più grosse non sono stimate nei nostri paesi, e solo i più infimi borghesi se ne adornano. Poiché abbiamo un'agilità meravigliosa e incredibile non abbiamo bisogno né di carri, né di cavalli per andare dove vogliamo in breve tempo. Ciò nonostante non c'è re che non abbia le sue scuderie e i suoi purosangue nelle migliori razze di cavalli marini, ma ordinariamente non se ne servono se non nei divertimenti e nelle feste pubbliche. Gli uni, dopo averli bene addestrati, si divertono a montarli e a mostrare la loro destrezza nelle corse, gli altri li attaccano ai carri di madreperla di mille conchiglie d'ogni specie, dai più vivi colori. Quei carri sono scoperti, con un trono su cui i re sono seduti quando si mostrano ai loro sudditi, e sanno guidarli loro stessi senza aver bisogno di cocchieri.» «E passo sotto silenzio», proseguì la regina Giulnàr, «una infinità di altri particolari curiosissimi, a proposito dei paesi marini ma ne parlerò un'altra volta con più comodo, poiché ora vorrei chiedervi il permesso di intrattenervi su un argomento ben più importante. Ciò che devo dire alla maestà vostra è che i parti delle donne di mare sono differenti da quelli delle donne di terra: perciò temo che le levatrici di questo paese mi assistano male. Se la vostra maestà, che non ha in ciò meno interesse di me, è d'accordo, credo conveniente per la sicurezza dei miei parti, di far venire la regina mia madre con alcune mie cugine e, nello stesso tempo, il re mio fratello, col quale ho grande desiderio di riconciliarmi. Essi saranno lieti di rivedermi, quando avrò loro raccontata la mia storia e sapranno che sono la moglie del potente re di Persia. Supplico quindi la maestà vostra di permetterlo: essi saranno assai contenti di rendervi omaggio, e posso promettervi che avrete molta soddisfazione nel vederli.» «Signora», rispose il re di Persia, «voi siete la padrona: fate quanto vi piacerà; io cercherò di riceverli con tutto l'onore possibile; ma vorrei sapere in che modo annuncerete loro quello che desiderate, e quando potranno giungere, per dare gli ordini per il loro ricevimento e per andare io stesso a incontrarli.» «Sire», aggiunse la regina Giulnàr, «non vi è bisogno di queste cerimonie, perché giungeranno qui in un momento, e vedrete in qual modo arriveranno. Non avete che da entrare in questa stanza e guardare dalla finestra.» Quando il re di Persia fu entrato nella stanza accanto, la regina Giulnàr si fece portare da una delle sue schiave un piccolo braciere con del fuoco, poi la mandò via, dicendole di chiudere la porta. Come fu sola, prese un pezzo di legno d'aloè da una cassetta, lo mise sul braciere e, appena vide il fumo, pronunciò delle parole sconosciute al re di Persia, che osservava con attenzione quanto faceva. Non aveva ancora terminato, che l'acqua del mare si increspò e tosto ne uscì un giovane bello e di alta statura, coi baffi di alghe marine. Una donna più anziana, ma con un'aria maestosa, emerse dopo di lui con cinque giovinette, altrettanto belle quanto la regina Giulnàr. Questa si presentò subito ad una delle finestre, e riconobbe il re suo fratello, la regina sua madre e le sue cugine ed essi pure la riconobbero. Il gruppo avanzò come spinto sulla superficie del mare, senza camminare, e quando tutti furono sulla riva, balzarono leggermente uno dopo l'altro sulla finestra a cui la regina Giulnàr si era affacciata e da cui si era ritirata per far loro posto. Il re Salih, la regina sua madre, e le cugine l'abbracciarono con moltissima tenerezza, e con le lacrime agli occhi man mano che entravano. Dopo che la regina Giulnàr li ebbe ricevuti con tutti gli onori possibili, e li ebbe fatti sedere sul sofà, prese la parola la regina madre. «Figlia mia», le disse, «provo molta gioia nel rivederti dopo una così lunga assenza, e sono sicura che tuo fratello e le tue cugine ne provano altrettanta. La tua partenza, di cui non ci avevi avvertiti, ci ha immersi in una inesprimibile angoscia, e non so dirti quante lacrime abbiamo versato. Non possiamo immaginare quale altra ragione possa averti obbligata a prendere una tale decisione, se non il colloquio avuto con tuo fratello. Il consiglio ch'egli allora ti diede gli era sembrato vantaggioso per la tua sicurezza nello stato in cui allora eravamo; ma non dovevi addolorartene a tal punto! Ma lasciamo questo discorso, e mettici a parte di quanto ti è capitato dacché non ti abbiamo più vista, dello stato in cui sei ora e soprattutto dicci se sei contenta.» La regina Giulnàr si gettò ai piedi della regina sua madre, e dopo averle baciato la mano, rialzandosi, rispose: «Signora, ho commesso un gran fallo, lo confesso; quello che sto per dirvi vi farà comprendere come talvolta ci si opponga inutilmente a certe cose. Io ho scoperto che la sorte cui mi ero opposta con tutta la mia volontà, è quella appunto a cui il destino mi ha portato mio malgrado». E raccontò quanto le era accaduto dopo che per dispetto si era decisa ad abbandonare il fondo del mare per venire sulla terra. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. Quand'ebbe terminato, raccontò come fosse stata venduta al re di Persia, presso cui si trovava. «Sorella mia», le disse il re suo fratello, «hai avuto gran torto a sopportare tutte queste indegnità; non puoi prendertela che con te stessa, perché avevi il mezzo per liberartene; sono assai meravigliato della tua pazienza a restare tanto tempo in schiavitù. Vieni e ritorna nel regno che ho strappato al terribile nemico che se ne era impadronito.» Il re di Persia che udì queste parole dalla stanza in cui stava, ne fu molto angosciato e disse fra sé: «Ah! son perduto! La mia morte è certa, se la mia regina, se la mia Giulnàr ascolta questo odioso consiglio. Io non posso più vivere senza di lei!». Ma la regina Giulnàr non lo lasciò per lungo tempo in ansia: «Fratello mio», rispose sorridendo, «le tue parole mi fanno comprendere quanto mi vuoi bene. Allora non potei sopportare il tuo consiglio di sposarmi con un principe della terra; ora poco è mancato che sia andata in collera con te per quello che mi hai detto, di lasciare l'impegno che ho contratto col più potente e col più famoso di tutti i principi della terra. E non parlo già dell'impegno di una schiava verso il suo padrone, poiché in tal caso sarebbe agevole restituirgli i diecimila dinàr che gli sono costata. Io parlo dell'impegno di una moglie verso il marito, e di una moglie che non ha nessun motivo di malcontento nei suoi riguardi. E' un monarca saggio, moderato, che mi ha dato le più profonde prove d'amore, e non poteva darmene una migliore di quella di congedare, fin dai primi giorni dopo che mi ebbe acquistata, tutte le sue mogli per non dedicarsi che a me. Io sono sua moglie, ed egli mi ha dichiarata regina di Persia facendomi partecipare al suo governo. E dico di più: sono incinta e se ho la felicità, col favore del cielo, di dargli un figlio, sarà un nuovo legame che mi unirà a lui in modo ancor più definitivo». «Perciò fratello caro», proseguì la regina Giulnàr, «invece di seguire il tuo consiglio, tutte queste considerazioni, come ben vedi, mi obbligano non solo ad amare il re di Persia tanto quanto egli mi ama, ma anche a restare e a passare la mia vita con lui più per riconoscenza che per dovere. Spero che né mia madre, né tu né le mie buone cugine disapproverete la mia risoluzione né le mie nozze, che ho stretto senza averle cercate, e che fanno onore ai monarchi del mare come a quelli di terra. Scusami se ti ho fatto venir qui dal più profondo del mare per partecipartele ed avere la gioia di vederti dopo una così lunga separazione.» «Sorella», rispose il re Salih, «ti ho fatta la proposta di ritornare con noi dopo il racconto delle tue sventure, che non ho potuto ascoltare senza dolore, solo per mostrarti quanto ti amiamo tutti, e quanto io in particolare ti onoro, il che può contribuire alla tua felicità. Per queste medesime ragioni, non posso che approvare la tua risoluzione così ragionevole e così degna di te, dopo quanto ci hai detto della persona del re di Persia, tuo sposo, e della riconoscenza che gli devi. E la regina, madre nostra, la pensa certamente come me.» Questa principessa confermò quanto il re suo figlio aveva detto. «Figlia mia», soggiunse rivolgendosi alla regina Giulnàr, «sono lieta che tu sia contenta, e non ho nulla da aggiungere a quanto tuo fratello ti ha detto or ora. Io sarei la prima a condannarti, se non avessi tutta la riconoscenza che devi per un monarca che ti ama con tanta passione e ha fatto così grandi cose per te.» Il re di Persia, che stava nella stanza accanto, dopo la paura di perdere la regina Giulnàr, provò tanta più gioia nel vedere che essa era decisa a non abbandonarlo. Non potendo più dubitare del suo amore dopo una simile dichiarazione, l'amò mille volte di più e promise a se stesso di provarle la sua riconoscenza con tutti i mezzi possibili. Mentre il re di Persia si rallegrava così, con una gioia incredibile, la regina Giulnàr aveva battuto le mani e comandato alle schiave che erano entrate di servire subito la colazione. Quando questa fu servita, ella invitò la regina sua madre, il re suo fratello e le sue cugine ad avvicinarsi e a mangiare. Ma essi ebbero tutti il pensiero che si trovavano nel palazzo d'un potente re senza averne domandato il permesso, e che lui non li aveva mai veduti e non li conosceva, e che sarebbe stata quindi una grande scortesia mettersi a tavola senza di lui. Arrossirono violentemente e per l'emozione gettarono fiamme dalle narici e dalla bocca, con occhi fiammeggianti. Il re di Persia provò un inesprimibile spavento a quello spettacolo, che non si aspettava, e del quale ignorava la causa. La regina Giulnàr che intuiva quello che era capitato e che aveva capito l'intenzione dei suoi parenti, disse loro, alzandosi dal suo posto, che sarebbe tornata subito; ed entrando nella stanza dove era il re, lo rassicurò con la sua presenza. «Sire», disse, «immagino che la maestà vostra sia molto contenta della prova di riconoscenza che le ho dato per tutta la bontà di cui le sono debitrice. Se avessi voluto, avrei facilmente potuto seguire il loro desiderio e ritornare con loro nei nostri stati; ma non sono capace di ingratitudine e mi condannerei io stessa per prima.» «Ah! cara regina!», esclamò il re di Persia. «Non parlate dei vostri obblighi di riconoscenza; essi sono nulla in confronto a quelli così grandi che ho io verso di voi, per cui mai potrò testimoniarvi la mia riconoscenza. Non credevo che mi amaste tanto.» «Oh, sire», soggiunse la regina Giulnàr, «potevo forse fare meno di quanto ho fatto, e che non è nulla in confronto a tutti gli onori ricevuti, e a tutti i benefici di cui mi avete colmata; a tante prove di amore, alle quali non posso non essere sensibile?» «Ma sire», aggiunse poco dopo la regina Giulnàr, «lasciamo questo discorso, e venite ad assicurarvi dell'amicizia sincera di cui la regina mia madre e il re mio fratello vi onorano. Essi muoiono dal desiderio di vedervi e di provarvelo loro stessi. Io ho anche pensato di far bene, dando loro una colazione prima di procurar loro questo onore: supplico dunque la maestà vostra di voler entrare e onorarli con la vostra presenza.» «Signora», rispose il re di Persia, «avrei gran piacere di ossequiare queste persone che vi sono tanto vicine; ma quelle fiamme che ho visto uscire dalle loro narici e dalle loro bocche, mi incutono spavento.» «Sire», replicò la regina, ridendo, «quelle fiamme non debbono darvi la minima preoccupazione, perché esse indicano solo la loro ripugnanza di mangiare roba vostra nel vostro palazzo, senza essere onorati della vostra presenza.» Il re di Persia, rassicurato da queste parole, si alzò ed entrò nella camera con Giulnàr, che lo presentò alla regina sua madre, al re suo fratello ed alle sue cugine, che subito si prostrarono con la faccia a terra. Il re di Persia corse subito verso di loro, obbligandoli a rialzarsi, e li abbracciò uno dopo l'altro. Dopo essersi tutti seduti, il re Salih prese la parola e disse al re di Persia: «Sire, non possiamo manifestare a sufficienza la nostra gioia alla maestà vostra per la fortuna che la regina Giulnàr mia sorella ha avuto, nella sua disgrazia, di trovarsi sotto la protezione di un monarca così potente. Possiamo peraltro assicurarvi che ella non è indegna dell'alto grado al quale vi è piaciuto innalzarla. Abbiamo avuto sempre un grande affetto e una grande tenerezza per lei, e non ci siamo mai potuti risolvere a concederla ad alcuno dei potenti principi del mare che l'hanno chiesta in matrimonio, anche prima che ne avesse raggiunta l'età. Il cielo l'ha riserbata a voi, sire, e noi non possiamo ringraziarlo del favore che le ha riserbato se non domandandogli di concedere alla maestà vostra la grazia di vivere lunghi anni`con lei, con ogni prosperità e soddisfazione». «Bisogna proprio dire», rispose il re di Persia, «che il cielo me l'avesse destinata, come voi dite, poiché la passione ardente con cui l'amo mi prova che non avevo mai veramente amato nessuna prima di conoscerla. Non posso manifestare degnamente la mia riconoscenza alla regina sua madre, a voi, principe, e ai vostri parenti, per la generosità con cui consentite a ricevermi in una parentela che tanto mi onora.» Ciò detto li invitò a mettersi a tavola, e prese posto anche lui con la regina Giulnàr. Terminata la colazione, il re di Persia conversò con loro fino a tardi nella notte, e quando fu tempo di andarsi a coricare li accompagnò personalmente ciascuno all'appartamento che aveva fatto preparare. Il re di Persia rallegrò i suoi illustri ospiti con continue feste durante le quali non tralasciò nulla di quanto potesse mostrare la sua grandezza e la sua magnificenza, e li convinse a restare alla sua corte fino al parto della regina. Non appena cominciarono le doglie, egli diede ordine che non le mancasse nessuna di quelle cose di cui poteva avere bisogno in quel particolare momento. Partorì finalmente e dette alla luce un figlio maschio con grande gioia della regina sua madre, che l'assistette e andò a presentare al re il bambino, non appena fu fasciato con lini finissimi che è più facile immaginare che descrivere. Il re accolse quel dono con una gioia indicibile. Siccome il volto del principino suo figlio era sfavillante di bellezza, giudicò di non potergli dare un nome più adatto di quello di Badr. Per ringraziare il cielo distribuì grandi elemosine ai poveri, dette la libertà ai prigionieri ed a tutti i suoi schiavi e le sue schiave, fece distribuire grosse somme ai ministri ed ai devoti della sua religione fece anche grandi doni alla sua corte e al popolo, e ordinò che si celebrassero feste di più giorni in tutta la città. Dopo che la regina Giulnàr si fu alzata dal letto, un giorno in cui il re di Persia, la regina Giulnàr, la regina sua madre, il re Salih suo fratello e le principesse loro congiunte conversavano insieme nella camera della regina, la nutrice vi entrò col piccolo principe Badr. Il re Salih si alzò dal suo posto, corse verso di lui, e dopo averlo preso dalle braccia della nutrice, si mise a baciarlo e vezzeggiarlo con grandi dimostrazioni di tenerezza. Fece dapprima più giri nella camera giocando e tenendo il piccino in alto sulle braccia; poi, tutt'a un tratto, in un impeto di gioia, si slanciò da una finestra che era aperta e s'immerse nel mare col principe. Il re di Persia, a quello spettacolo, cacciò grida di spavento credendo che non avrebbe più rivisto il suo caro figlio, o, se lo avesse rivisto, lo avrebbe visto annegato e poco mancò non morisse di dolore. «Sire», gli disse la regina Giulnàr col viso sereno, per rassicurarlo, «la maestà vostra non tema nulla. Il principino è anche mio figlio oltre che vostro e non l'amo meno di quanto lo amiate voi, eppure vedete che non sono preoccupata, perché non ho motivo di esserlo. Non corre alcun rischio, e vedrete ricomparire tra poco il re suo zio, che lo porterà sano e salvo. Quantunque sia vostro figlio, poiché mi appartiene, egli gode delle prerogative della mia razza e può vivere ugualmente nel mare e sulla terra.» La regina sua madre e le principesse sue cugine gli confermarono la stessa cosa, ma i loro discorsi non ebbero l'effetto di liberarlo dal suo spavento, e non gli fu possibile stare calmo per tutto il tempo in cui non vide il principe Badr. Il mare finalmente si agitò e si rivide ben presto il re Salih uscirne col piccolo principe tra le braccia e, sostenendosi nell'aria, rientrare per la stessa finestra per cui era uscito. Il re di Persia fu lieto e assai meravigliato nel vedere il principe Badr tranquillo, proprio come prima che fosse portato lontano dalla sua vista. Il re Salih gli disse: «Sire, la maestà vostra ha avuto paura quando mi ha visto tuffarmi nel mare col principe mio nipote?». «Ah, principe», rispose il re di Persia, «non posso descrivere quel che ho provato quando ho creduto che fosse perduto; mi avete ridato la vita riportandomelo.» «Sire», soggiunse il re Salih, «ne dubitavo, ma non vi era nessuna ragione di timore. Prima di tuffarmi avevo pronunciate su di lui le parole misteriose che erano scolpite sul suggello del gran re Salomone, figlio di Davide. Noi pratichiamo lo stesso rito per tutti i fanciulli che nascono nelle regioni del mare, e in virtù di quelle parole essi ricevono lo stesso privilegio che abbiamo noi. Da quanto la maestà vostra ha veduto, può giudicare del vantaggio che il principe Badr ha acquistato con la sua nascita, per parte della madre, la regina Giulnàr mia sorella. Finché vivrà, e tutte le volte che vorrà, sarà libero d'immergersi nel mare, e di percorrere i vasti imperi che esso racchiude nel suo seno.» Ciò detto il re Salih, che già aveva rimesso il piccolo Badr tra le braccia della nutrice, aprì una cassa che era andato a prendere nel suo palazzo durante la sua breve assenza e che aveva riportato, piena di trecento diamanti, grossi quanto un uovo di piccione, di altrettanti rubini di una straordinaria grossezza, di altrettante verghe di smeraldi della lunghezza di mezzo piede, e di trenta collane di perle ciascuna di dieci file. «Sire», disse al re di Persia offrendogli quella cassa, «quando siamo stati chiamati dalla regina mia sorella, ignorando in quale luogo della terra fosse e che avesse avuto l'onore di diventare sposa di un così grande monarca, siamo venuti a mani vuote. Non potendo testimoniare sufficientemente la nostra riconoscenza alla maestà vostra la supplichiamo di gradire questo piccolo segno di gratitudine per i singolari favori con cui le è piaciuto onorarla, ed ai quali noi partecipiamo non meno di lei.» Non si può esprimere quale fu la sorpresa del re di Persia quando vide tante ricchezze chiuse in così piccolo spazio. «Ma principe», esclamò, «voi considerate un piccolo segno di riconoscenza, quando non mi dovete niente, un dono di prezzo inestimabile come questo? Io vi dichiaro ancora una volta che non mi dovete nulla né la regina vostra madre, né voi, e che mi stimo già troppo felice del consenso dato alla parentela che ho contratto con voi.» «Signora», disse poi alla regina Giulnàr volgendosi dalla sua parte, «il re vostro fratello mi confonde in modo che io non so più come comportarmi. Lo supplicherei di permettermi di rifiutare il suo dono, se non temessi di offenderlo; pregatelo voi di consentirmi di non accettarlo.» «Sire», soggiunse il re Salih, «io non sono sorpreso che la maestà vostra trovi il dono straordinario; mi risulta infatti che sulla terra non hanno l'abitudine di vedere pietre preziose di questa qualità, ed in così gran numero in una volta. Ma se la maestà vostra sapesse dove sono le miniere da cui si estraggono, e che potrei prenderne un tesoro più ricco di tutti i tesori dei re della terra, sarebbe meravigliata dell'audacia che abbiamo avuta di fare un dono di così poco valore. Perciò vi supplichiamo di non guardarlo sotto questo aspetto, ma di considerare l'amicizia sincera che ci spinge ad offrirvelo, e di non darci la mortificazione di non accettarlo.» Queste parole tanto cortesi obbligarono il re di Persia ad accettare il dono, ed egli ringraziò calorosamente il re Salih come pure la regina sua madre. Alcuni giorni dopo, il re Salih dichiarò al re che la regina sua madre, le principesse sue cugine e lui stesso avrebbero avuto grande piacere di passare tutta la loro vita alla sua corte; ma essendo molto tempo che erano lontani dal loro regno, ed essendo la loro presenza necessaria, lo pregavano di permettere loro di prendere commiato da lui e dalla regina Giulnàr. Il re di Persia mostrò loro quanto fosse dispiaciuto di non poter contraccambiare la loro cortesia, andando a visitarli nei loro stati. «Ma siccome io son persuaso che non dimenticherete la regina Giulnàr», aggiunse, «e la verrete a trovare di tanto in tanto, spero che avrò l'onore di rivedervi più di una volta.» Da tutte e due le parti si sparsero molte lacrime al momento della separazione. Il re Salih partì per primo, ma la regina sua madre e le principesse furono obbligate, per seguirlo, a strapparsi quasi dalle braccia della regina Giulnàr, che non poteva rassegnarsi a lasciarle partire. Appena quel gruppo di ospiti regali fu partito dal palazzo del re di Persia, questi non poté fare a meno di dire alla regina Giulnàr: «Signora, io avrei considerato un uomo che volesse abusare della mia credulità colui che avesse voluto farmi credere le meraviglie di cui sono stato testimone dal momento in cui la vostra illustre famiglia ha onorato il mio palazzo con la sua presenza. Ma io non posso smentire i miei occhi, e me ne ricorderò finché avrò vita, non cessando di benedire il cielo di avervi data a me, a preferenza di ogni altro principe». Il principino Badr fu nutrito ed allevato nel palazzo sotto gli occhi del re e della regina di Persia, che lo videro crescere ed aumentare in bellezza con grande soddisfazione. E ben altre soddisfazioni diede loro man mano che cresceva in età, sia per la sua costante allegria, per i suoi modi piacevoli qualunque cosa facesse, sia perché dimostrava, parlando, grande vivacità di spirito; e questa soddisfazione era ancora maggiore in quanto il re Salih suo zio, la regina sua nonna, e le principesse sue cugine andavano sovente a condividerla con loro. Insegnargli a leggere ed a scrivere non presentò alcuna difficoltà e imparò anche con la stessa facilità tutte le scienze che convenivano ad un principe del suo grado. Quando il principe di Persia ebbe raggiunto l'età di quindici anni, eseguiva ogni cosa con maggior destrezza e buona grazia dei suoi maestri. Oltre ciò era d'una saggezza e di una prudenza ammirevoli. Il re di Persia che aveva riconosciuto in lui, quasi fin dalla nascita, le virtù necessarie a un monarca, e che l'aveva visto fortificarsi in esse con il passare degli anni, e che d'altra parte si accorgeva ogni giorno di più delle grandi infermità della vecchiaia, non volle aspettare che la sua morte lo mettesse in possesso del suo regno. Non trovò difficoltà a ottenere il consenso del consiglio a quanto egli desiderava, ed i popoli conobbero la sua decisione con tanta maggior gioia in quanto giudicavano il principe Badr degno di governare. Difatti poiché da molto tempo egli si presentava in pubblico, i sudditi avevano avuto tutto l'agio di notare che non aveva quell'aria sdegnosa, altera e superba, così comune nella maggior parte dei principi. Sapevano al contrario che egli trattava tutti con una bontà che invitava ad avvicinarsi a lui, che ascoltava favorevolmente coloro che avevano da parlargli, che rispondeva con una benevolenza tutta sua, e non rifiutava mai nulla, purché quello che gli si domandava fosse giusto. Il giorno della cerimonia fu stabilito e quel giorno, in mezzo al suo consiglio, più numeroso del solito, il re di Persia, che dapprima si era seduto sul trono, ne discese, si tolse la corona dalla testa, la pose su quella del principe Badr, e, dopo averlo aiutato a salire al suo posto, gli baciò la mano per indicare che gli rimetteva tutta la sua autorità e tutto il suo potere: dopo di che si sedette più in basso tra i visir e gli emiri. Tosto il visir, gli emiri, e tutti gli ufficiali andarono ad inginocchiarsi davanti al nuovo re, e gli prestarono giuramento di fedeltà, ciascuno secondo il proprio grado. Il gran visir gli fece poi rapporto su alcuni affari importanti sui quali egli giudicò con una saggezza, che fece rimanere a bocca aperta tutto il consiglio. Depose in seguito alcuni governatori colpevoli di malversazioni, e mise altri al loro posto, con un discernimento così giusto e così equanime che si attirò grandi applausi, tanto più graditi, dal momento che l'adulazione non vi aveva alcuna parte. Uscì finalmente dal consiglio, e accompagnato dal re suo padre andò all'appartamento della regina Giulnàr, la quale, non appena lo vide con la corona in testa, corse da lui e l'abbracciò con molta tenerezza, augurandogli un regno di lunga durata. Nel primo anno del suo regno il re Badr adempì tutti i suoi compiti regali con una grande assiduità e soprattutto ebbe gran cura d'istruirsi sugli affari e su tutto quello che poteva contribuire alla felicità dei suoi sudditi. L'anno seguente, dopo che ebbe lasciata l'amministrazione degli affari al suo consiglio, col permesso del re suo padre, uscì dalla capitale col pretesto di una battuta di caccia, ma in realtà per visitare tutte le province del suo regno, per frenarne gli abusi, ristabilire ovunque il buon ordine e la disciplina, e togliere ai principi suoi vicini male intenzionati il desiderio di intraprendere qualche cosa contro la sicurezza e la tranquillità dei suoi stati facendosi vedere sulle frontiere. Al giovane re non occorse meno di un anno per portare a termine questo programma. Poco tempo dopo il suo ritorno, il re suo padre si ammalò così gravemente che egli stesso capì di non poter guarire. Attese l'ultimo momento della sua vita con una grande tranquillità, ed ebbe, come unica cura, quella di raccomandare ai ministri e ai signori della corte di persistere nella fedeltà che avevano giurata al re, suo figlio; e non ve ne fu neppure uno che non volesse rinnovare il giuramento con altrettanta buona fede quanta ne aveva avuta la prima volta. Morì alla fine con grandissimo dolore del re Badr e della regina Giulnàr, che fecero porre il suo corpo in un superbo mausoleo degno della sua dignità. Terminati i funerali, il re Badr non ebbe pena a conformarsi al costume della Persia, di piangere i morti per un mese intero e di non vedere nessuno per tutto quel tempo. Avrebbe pianto suo padre per tutta la vita, se avesse ascoltato il suo cuore, e se fosse permesso a un re di abbandonarsi al dolore. In quel tempo arrivarono anche la madre della regina Giulnàr, il re Salih, con le principesse loro parenti e tutti presero gran parte alla loro afflizione e recarono loro conforto. Quando il mese fu trascorso, il re non poté dispensarsi dal ricevere il suo gran visir e tutti i signori della sua corte, che lo supplicarono di smettere l'abito di lutto, di farsi vedere ai sudditi, e di riprendere gli affari come prima. Ma egli manifestò un così grande fastidio ad ascoltarli, che il gran visir fu obbligato a prendere la parola e a dirgli: «Sire, non c'è bisogno di dire alla maestà vostra che è proprio delle donne ostinarsi a rimanere in lutto perpetuo. Né le nostre lacrime, né le vostre sono capaci di far tornare in vita il re vostro padre, anche se non cessassimo di piangerlo per tutta la nostra vita. E inoltre non possiamo dire che sia morto del tutto, poiché lo rivediamo nella vostra persona, egli stesso era certo, morendo, di rivivere in voi; tocca dunque alla maestà vostra di far vedere che egli non si è ingannato. Il re Badr non poté resistere a questa richiesta così pressante e smesso l'abito di lutto, dopo aver ripreso le vesti e gli ornamenti reali, ricominciò a provvedere ai bisogni del suo regno e dei suoi sudditi. Il re Salih che era ritornato nei suoi stati del mare con la regina sua madre e le principesse, non appena aveva visto che Badr aveva ripreso le redini del governo, tornò solo dopo un anno e Badr e la regina Giulnàr furono lietissimi di rivederlo. Una sera dopo aver cenato, quando la tavola fu sparecchiata ed essi rimasero soli, si misero a parlare di vari argomenti. Insensibilmente il re Salih cominciò a tessere elogi del re suo nipote, e dichiarò alla regina sua sorella quanto fosse soddisfatto della saggezza con cui governava, che gli aveva acquistato una grande fama non solo presso i re suoi vicini, ma anche fino nei regni più lontani. Il re Badr, che mal sopportava di sentir fare tante lodi della sua persona, e non voleva d'altra parte, per creanza imporre silenzio al re suo zio, si volse dall'altro lato, e finse di dormire appoggiando la testa su un cuscino. Dalle lodi che riguardavano la condotta meravigliosa e lo spirito superiore del giovane, il re Salih passò a quelle del corpo, e ne parlò come d'un prodigio che non aveva nulla di simile, né sulla terra, né nei regni al disotto delle acque del mare, di cui avesse conoscenza. «Sorella mia», esclamò tutt'a un tratto, «sono meravigliato che tu non abbia ancora pensato a trovargli una sposa. Se non m'inganno egli ha adesso venti anni, ed a questa età non è permesso ad un principe di stare senza moglie; voglio pensarci io stesso, giacché tu non ci pensi, e dargli come sposa una principessa dei nostri regni che sia degna di lui.» «Fratello mio», rispose la regina Giulnàr, «tu mi fai pensare a una cosa cui non ho mai pensato, lo confesso. Dato che lui non ha finora mostrato alcun desiderio di sposarsi, io non vi ho pensato affatto e ti sono grata di avermene parlato. Siccome approvo l'idea di dargli una delle nostre principesse, ti prego di nominarmene qualcuna, che sia così bella e compita che il re mio figlio sia forzato ad amarla.» «Ne conosco una», aggiunse il re Salih parlando a bassa voce, «ma prima di dirti chi è, ti prego di guardare se il re mio nipote dorme, e poi ti spiegherò perché bisogna che prendiamo questa precauzione.» La regina Giulnàr si volse, e veduto Badr nella situazione in cui stava, non dubitò affatto che dormisse profondamente. Il re Badr invece, non dormiva, e anzi raddoppiò la sua attenzione per non perdere nulla di quanto il re suo zio aveva da dire in tanta segretezza. «Non v'è bisogno di cautela», disse la regina al re suo fratello «puoi parlare liberamente senza timore di essere ascoltato.» «Non è opportuno», continuò il re Salih, «che il re mio nipote sappia per ora quello che debbo dirti. L'amore, come sai, qualche volta nasce dai discorsi, e non è necessario che egli ami in questo modo quella che ti dirò, poiché ci sono grandi difficoltà da superare, non da parte della principessa, spero, ma da parte del re suo padre. Basta infatti nominare la principessa Giàwhara ed il re as-Samandal.» «Che dici mai, fratello mio», esclamò la regina Giulnàr, «la principessa Giàwhara non è ancora maritata? Io mi ricordo d'averla vista poco tempo prima di separarmi da voi; aveva diciotto mesi ed era dotata d'una bellezza sorprendente. Deve essere oggi la meraviglia dell'universo, se la sua bellezza è sempre andata aumentando da allora in poi, e il fatto che sia un po' maggiore del re mio figlio, non deve impedirci di far tutti gli sforzi possibili per procurargli un partito così vantaggioso. Non si tratta che di conoscere le difficoltà che vi sono, e di superarle.» «Sorella mia», replicò il re Salih, «il re as-Samandal è di una vanità insopportabile, e si considera superiore a tutti gli altri re; vi sono quindi poche speranze di poter trattare con lui per queste nozze. Andrò io stesso a domandargli la principessa sua figlia, e se rifiuta, ci rivolgeremo altrove, dove saremo ascoltati più favorevolmente. E' bene, quindi, che il re mio nipote non sappia nulla del nostro proposito, se prima non ci accertiamo del consenso del re as-Samandal.» Parlarono ancora per qualche tempo del medesimo argomento, e prima di separarsi convennero che il re Salih sarebbe ritornato subito nel suo regno per domandare la principessa Giàwhara al re as-Samandal per il re di Persia. La regina Giulnàr ed il re Salih, credendo che il re Badr dormisse profondamente, lo svegliarono quando vollero ritirarsi, ed egli riuscì assai bene a fingere di svegliarsi, come se avesse dormito di un sonno profondo. L'indomani il re Salih voleva prender commiato dalla regina Giulnàr e dal re suo nipote, e questi, ben sapendo che suo zio partiva così presto per andare a costruire la sua felicità, senza por tempo in mezzo, non lasciò cadere quel discorso. La sua passione era già così viva da non permettergli di attendere per vederne l'oggetto tanto tempo quanto ne occorreva per la trattativa. Decise quindi di pregare il re Salih di condurlo con sé; ma non volendo che la regina sua madre lo sapesse, supplicò lo zio, per avere l'occasione di parlargli in privato, di rimanere ancora quel giorno e di prender parte a una battuta di caccia, deciso a profittare di quel ritardo per sottoporgli il suo progetto. La battuta di caccia ebbe luogo, e il re Badr si trovò più volte solo con il re suo zio, ma non osò aprir bocca per dirgli quello che aveva pensato di fare. Nel momento culminante della battuta, essendosi il re Salih allontanato da lui, e non restandogli vicino nessun ufficiale o servo, scese da cavallo presso un ruscello, e, dopo aver legato l'animale a un albero che insieme a molti altri proiettava una bellissima ombra lungo il ruscello, si sdraiò per terra, lasciando libere le lacrime di scorrere in abbondanza, accompagnate da sospiri e singhiozzi. Rimase lungo tempo in quello stato, immerso nei suoi pensieri senza profferire una sola parola. Il re Salih, intanto, non vedendo più il nipote, chiese ansiosamente dove fosse, ma senza trovare nessuno che sapesse dargliene notizia. Si separò allora dagli altri cacciatori e mentre lo cercava, lo scorse da lontano. Aveva già osservato fin dal giorno precedente, e in modo ancor più chiaro quel giorno, che non aveva la sua solita allegria, che era, contrariamente al solito, pensieroso e che non rispondeva subito alle domande che gli si facevano, o, se rispondeva, non lo faceva a proposito: ma non aveva il minimo sospetto della causa di quel cambiamento. Appena lo vide nello stato in cui si trovava, comprese che doveva aver udito il discorso che aveva avuto con la regina Giulnàr, e che era innamorato. Scese a terra lontano da lui, e, dopo aver legato il cavallo a un albero, fece un gran giro, e gli si avvicinò senza far rumore; allora lo udì pronunciare queste parole: «Amabile principessa del regno del re as-Samandal, indubbiamente mi è stato fatto soltanto un vago ritratto della vostra incomparabile bellezza, ma penso che voi siate più bella delle altre principesse di questo mondo tanto quanto il sole è più bello della luna e degli altri astri. Io verrei subito, se sapessi dove trovarvi, ad offrirvi il mio cuore, che vi appartiene, e che nessuna altra principessa possederà mai!». Il re Salih, non volendo sentire altro, avanzò, e facendosi vedere al re Badr, gli disse: «A quel che sento, caro nipote, tu hai ascoltato ciò che dicevamo l'altro giorno della principessa Giàwhara, fra me e la regina tua madre: ma non era nostra intenzione, e credevamo che tu dormissi». «Zio mio», rispose il re Badr, «io non ne avevo perduto una parola, anzi vi ho trattenuto proprio per parlarvi del mio amore prima della vostra partenza, ma la vergogna di confessarvi la mia debolezza, se tale può dirsi l'amore per una principessa tanto degna di essere amata, mi ha chiusa la bocca. Vi supplico dunque, per l'amicizia che avete per me che ho l'onore di essere vostro stretto parente, di aver pietà di me e di non farmi soffrire aspettando per conoscere la divina Giàwhara che abbiate ottenuto il consenso del re suo padre al nostro matrimonio, a meno che non vogliate vedermi morire d'amore per lei prima di vederla.» Questo discorso del re di Persia imbarazzò molto il re Salih, che gli dimostrò quanto fosse difficile concedergli la soddisfazione che domandava, non potendogliela procurare senza condurlo con sé, mentre la sua presenza era assolutamente necessaria nel suo regno, e lo scongiurò di moderare la sua passione finché avesse sistemato tutto in modo di poterlo accontentare, assicurandolo che avrebbe messo in atto tutta la sua abilità, e che sarebbe venuto a rendergliene conto tra pochi giorni. Il re di Persia non volle ascoltar ragioni ed esclamò: «Zio crudele, vedo bene che non mi amate quanto credevo, e che preferite vedermi morire piuttosto che acconsentire alla prima preghiera che vi rivolgo in vita mia». «Sono pronto a farti vedere», replicò il re Salih, «che non c'è nulla che io non farei per servirti, ma non posso condurti con me senza parlarne a tua madre. Che direbbe di te e di me? Io voglio sapere se acconsente, e aggiungerò le mie preghiere alle tue.» «Voi non ignorate», soggiunse il re di Persia, «che la regina mia madre non permetterà mai che l'abbandoni, e questa scusa mi rivela ancor più la durezza del vostro cuore. Se mi amate quanto dite, bisogna che torniate immediatamente nel vostro regno e mi conduciate con voi.» Il re Salih, costretto a cedere alla volontà del re di Persia, trasse un anello che aveva in dito, dove erano scolpiti gli stessi nomi misteriosi che erano incisi sul suggello di Salomone, e presentandoglielo, gli disse: «Prendi quest'anello, mettitelo al dito, e non temere né le acque del mare, né la sua profondità». Il re di Persia prese l'anello, e quando l'ebbe al dito: «Fa' come me», gli comandò il re Salih. In pari tempo s'alzarono leggermente in aria, avanzando verso il mare, che era vicino, e vi si tuffarono. Il re marino non mise molto tempo ad arrivare al suo palazzo col re di Persia suo nipote, che condusse subito all'appartamento della regina sua nonna, che l'abbracciò con grandi dimostrazioni di gioia, dicendogli: «Io non ti domando notizie della tua salute, perché vedo che stai benissimo, e ne sono lieta; ma ti prego di darmi notizie della regina Giulnàr tua madre e mia figlia». Il re di Persia si guardò bene dal dirle che era partito senza salutarla, e l'assicurò al contrario che l'aveva lasciata in perfetta salute, e che lo aveva incaricato di farle i suoi complimenti. La regina gli presentò in seguito le principesse, e lasciatolo a conversare con loro, entrò in una camera col re Salih, che le confidò che il re di Persia si era innamorato della principessa Giàwhara, udendo il racconto della sua bellezza, contro la sua volontà, che aveva dovuto condurlo con sé senza potersene esimere, e che pensava a come dargliela in sposa. Quantunque il re Salih fosse innocente della passione del re di Persia, nondimeno la regina lo rimproverò di aver parlato della principessa Giàwhara davanti a lui con così poche precauzioni, e gli disse: «La tua imprudenza è imperdonabile; speri forse che il re as-Samandal, il cui carattere ti è ben noto, avrà maggior considerazione per te che per tutti gli altri re ai quali ha rifiutato la figlia per disprezzo? Vuoi che ti respinga altrettanto vergognosamente?». «Signora», rispose il re Salih, «vi ho già detto che il re mio nipote udì, contro ogni mio desiderio, quello che ho raccontato della bellezza della principessa Giàwhara alla regina mia sorella. Ora che il fallo è commesso, noi dobbiamo pensare che egli l'ama appassionatamente, e che morirà d'amore e di dolore se non gliela otteniamo in qualche modo. Io non devo trascurare nulla, poiché, quantunque senza colpa, ho fatto il male, e ora, adopererò quant'è in mio potere per rimediare. Spero, signora, che approverete la mia risoluzione di andare a trovare io stesso il re as-Samandal con ricchi doni di gioielli, per domandargli la principessa sua figlia in moglie per il re di Persia mio nipote. Ho qualche speranza che non me la rifiuterà e che gradirà la parentela con uno dei più potenti monarchi della terra.» «Sarebbe stato meglio», rispose la regina, «non trovarci nella necessità di fare questa domanda, il cui esito è molto incerto: ma trattandosi della pace e della soddisfazione del re mio nipote, ti do il mio consenso. Soprattutto, poiché conosci l'umore del re as-Samandal, bada, ti supplico, di parlare con tutti i riguardi che gli sono dovuti, e in modo così cortese che non possa offendersene.» La regina preparò personalmente il dono che consisteva di diamanti, rubini, smeraldi, file di perle, in una cassetta ricchissima e magnifica. L'indomani il re Salih prese commiato da lei e dal re di Persia, e partì con una schiera scelta e poco numerosa di ufficiali e servi. Giunse ben presto al regno di as-Samandal, dove chiese e ottenne udienza dal re. Questi si alzò dal suo trono appena lo vide; e il re Salih gli si prostrò davanti augurandogli il compimento di quanto poteva desiderare. Il re as-Samandal subito si chinò per rialzarlo, e, dopo averlo fatto sedere vicino a sé, gli domandò in che cosa mai potesse essergli utile. «Sire», rispose il re Salih, «se anche non avessi altro motivo che quello di rendere omaggio a uno dei più potenti principi del mondo, primo per sapienza e per valore, non sarebbe che un piccolo segno di quanto vi onori. Se poteste leggere fino in fondo al mio cuore, vedreste la grande venerazione di cui è colmo e il mio desiderio di darvi prova del mio affetto.» Ciò detto, prese la cassetta dalle mani di uno dei suoi servi, e offrendogliela, lo supplicò di volerla gradire. «Principe», rispose il re as-Samandal, «voi non mi fareste un dono così ricco se non aveste una grande richiesta da farmi. Se è qualche cosa che dipende da me, avrò grandissimo piacere di concedervela Parlate e ditemi liberamente in che possa servirvi.» «E' vero, sire», aggiunse il re Salih, «che ho una grazia da chiedere alla maestà vostra, e mi guarderei bene dal domandarvela se non fosse in vostro potere di concedermela. La cosa dipende solamente da voi e invano la domanderei a chiunque altro. Io ve la chiedo dunque con tutte le mie suppliche, e vi prego di non negarmela.» «Se la cosa sta così», replicò il re as-Samandal, «non avete che da dirmi di che cosa si tratta, e vedrete in qual modo io so essere generoso, quando posso...» «Sire», gli disse il re Salih, «non vi nasconderò oltre che sono venuto a supplicarvi di onorarci della vostra parentela consentendo al matrimonio della principessa Giàwhara, vostra onorevole figlia, e di voler rinsaldare in tal modo i vincoli di amicizia che uniscono i nostri due regni da tanto tempo.» A questo discorso il re as-Samandal dette in grandi scoppi di risa, rovesciandosi sul cuscino, cui si appoggiava, in modo assai offensivo per il re Salih, al quale disse: «Re Salih, io credevo che voi foste un principe di buon senso, saggio e accorto: il vostro discorso, al contrario, mi dimostra quanto mi fossi ingannato. Ditemi che ne avete fatto della vostra bella intelligenza, nel momento in cui immaginavate una chimera come quella di cui m'avete parlato? Come avete potuto solamente concepire il pensiero di aspirare alle nozze con una principessa, figlia di un re tanto grande e tanto potente quale io sono? Prima avreste dovuto considerare la grande distanza che corre tra voi e me, e non sareste venuto a distruggere in un solo momento la stima che io avevo per la vostra persona». Il re Salih fu molto offeso da questa risposta così arrogante, e durò molta fatica a frenare il suo giusto risentimento. «Sire», riprese egli con tutta la calma che gli fu possibile, «che Dio vi ricompensi come meglio meritate. Permettetemi però di dirvi che io non domando la principessa vostra figlia in matrimonio per me; ma anche se ciò fosse, la maestà vostra non dovrebbe offendersene e neppure la principessa, perché mi sembra che onorerei molto entrambi. Poiché sapete bene che io sono un re del mare come voi, che i re miei predecessori non sono per nulla inferiori per antichità alle altre famiglie reali e che il regno che io ho ereditato da loro non è meno fiorente né meno potente di quanto fosse ai loro tempi. Se non mi aveste interrotto avreste ben compreso che la grazia che chiedo non riguarda me, ma il giovane re di Persia, mio nipote, la cui potenza e grandezza oltre alle sue qualità personali, non debbono esservi sconosciute. Ciascuno riconosce che la principessa Giàwhara è la più bella donna che viva sotto il cielo, e ugualmente il giovane re di Persia è il principe più bello e più compito che vi sia sulla terra e in tutti i regni del mare. Perciò, siccome la grazia che vi chiedo non può tornare se non a gloria vostra e della principessa Giàwhara, sono certo che vorrete dare il vostro consenso a un tale matrimonio. La principessa è degna del re di Persia, e questi non è meno degno di lei, e non vi è principe al mondo che possa esserlo ugualmente.» Il re as-Samandal non avrebbe concesso al re Salih il tempo di parlargli così a lungo, se lo sdegno che gli aveva suscitato gliene avesse lasciata la libertà. Rimase ancora qualche tempo senza poter parlare, dopo di che il re Salih ebbe terminato il suo discorso, tanto era fuori di sé. Scoppiò finalmente in ingiurie atroci ed indegne di un grande re. «Cane», esclamò, «come osi tenermi questo discorso e pronunciare anche il nome di mia figlia davanti a me? Pensi forse che il figlio di tua sorella Giulnàr possa essere paragonato a lei? Chi sei tu? Chi era tuo padre? Chi è tua sorella, e chi è tuo nipote? Tuo padre non era che un cane, figlio di un cane come te. Che s'imprigioni l'insolente, e gli si mozzi il capo!» Gli ufficiali, che in piccolo numero stavano intorno al re as-Samandal, si preparavano ad obbedire, ma il re Salih, che era nel pieno delle sue forze leggero e robusto, fuggì prima che avessero estratto la sciabola, ed uscì dal palazzo, dove trovò mille uomini, parenti e servi della sua casa, ben armati ed equipaggiati, che arrivavano in quel momento. La regina sua madre aveva, infatti, ripensato al piccolo numero di persone che egli aveva preso con sé, e, avendo previsto il cattivo trattamento che il re as-Samandal gli avrebbe riservato, aveva mandato rinforzi in tutta fretta. Quelli tra i suoi parenti che giunsero per primi, furono contentissimi di essere arrivati a proposito, quando videro che veniva circondato dalle sue genti in gran disordine e che era inseguito. «Sire», esclamarono, «di che si tratta? Eccoci pronti a vendicarvi. Non avete che da comandare.» Il re Salih, raccontò loro la cosa in poche parole, poi si mise a capo d'una grossa schiera, e mentre gli altri restavano alla porta di cui si erano impadroniti, ritornò sui suoi passi. Messi in fuga i pochi ufficiali e le poche guardie che lo avevano inseguito, rientrò nell'appartamento del re as-Samandal che venne subito abbandonato da tutti, e, lo prese prigioniero. Il re Salih lasciò un numero sufficiente di uomini presso di lui per sorvegliarlo, e andò di appartamento in appartamento in cerca della principessa Giàwhara: ma al primo rumore, questa principessa era in gran fretta salita alla superficie del mare, con le donne che si erano trovate presso di lei, e si era salvata su un'isola deserta. Mentre accadevano queste cose al palazzo del re as-Samandal, alcuni servi del re Salih, che erano fuggiti alle prime minacce di quel re, causarono alla regina madre grande angoscia, informandola della situazione disperata in cui avevano lasciato il loro re. Il giovine re Badr, presente al loro arrivo, ne fu tanto più addolorato, in quanto si considerava responsabile di tutto il male, e non avendo abbastanza coraggio per sopportare la vista della regina sua nonna, dato il pericolo in cui era il re Salih per colpa sua, si slanciò dal fondo del mare; e siccome non sapeva che via prendere per ritornare al regno di Persia, si rifugiò nella stessa isola nella quale si trovava la principessa Giàwhara. Il giovane, sfinito dalla stanchezza, andò a sedersi ai piedi di un grande albero. Mentre riprendeva le forze, sentì delle voci e tese l'orecchio: ma era troppo lontano per poter comprendere quello che si diceva. Si alzò e, avanzando senza far rumore dalla parte da cui veniva il suono delle voci, scorse tra le foglie una donna di tale bellezza che ne rimase abbagliato. «Senza dubbio», disse tra sé, fermandosi e guardandola con attenzione, «questa è la principessa Giàwhara, che per paura è stata forse obbligata ad abbandonare il palazzo del re suo padre: ma anche se non fosse lei, non merita forse che io l'ami con tutta l'anima?» Senza attendere oltre si fece vedere, ed avvicinandosi alla principessa con una profonda riverenza, le disse: «Signora, io non posso ringraziare a sufficienza il cielo del favore che mi fa oggi offrendo ai miei occhi ciò che vi è di più bello. Non poteva accadermi niente di più bello dell'occasione di potervi offrire i miei umilissimi servigi e vi supplico, signora, di accettarli; poiché una persona come voi non si trova in una simile solitudine senza aver bisogno di soccorso». «Avete ragione, signore!», rispose la principessa Giàwhara con tono assai triste. «E' cosa davvero straordinaria che una signora del mio grado si trovi nelle condizioni in cui sono. Io sono principessa, figlia del re as-Samandal, e mi chiamo Giàwhara. Stavo tranquillamente nel palazzo di mio padre, nel mio appartamento, quando ad un tratto ho udito rumori spaventosi e subito mi fu annunciato che il re Salih, non so per quale ragione aveva forzato il palazzo e si era impadronito del re mio padre, dopo aver sgominato tutti quelli della sua guardia che gli avevano opposto resistenza. Io non ho avuto che il tempo di salvarmi e di cercare qui un asilo contro la sua violenza.» Dopo il discorso della principessa, il re Badr fu assai addolorato di avere così bruscamente lasciato sua nonna, senza aspettare altre notizie: ma fu lieto che il re suo zio si fosse impadronito della persona del re as-Samandal, perché era certo che costui gli avrebbe concessa la principessa in moglie per riavere la sua libertà. «Adorabile principessa», disse, «il vostro dolore è giustissimo, ma è facile consolarvi e por fine alla prigionia di vostro padre. Sarete d'accordo con me quando saprete che io mi chiamo Badr, che sono re della Persia, e che il re Salih è mio zio. Posso assicurarvi che egli non ha nessuna intenzione d'impadronirsi degli stati del re vostro padre. Io vi avevo già dato il mio cuore al solo udire la descrizione della vostra bellezza e delle vostre grazie, e ora non me ne pento e vi supplico di riceverlo, e di essere persuasa che non si batterà mai se non per voi. Oso sperare che non lo rifiuterete, considerando che un re, che è uscito dai suoi stati unicamente per venire ad offrirvelo, meriti ricompensa. Permettete dunque, bella principessa, che io abbia l'onore di presentarvi al re mio zio, che, non appena il re vostro padre avrà dato il suo consenso al nostro matrimonio, lo lascerà libero e padrone dei suoi stati come prima.» La dichiarazione del re Badr non produsse l'effetto che egli si aspettava. La principessa, che al primo vederlo l'aveva giudicato piacevole per il suo aspetto gagliardo e per la grazia con cui si era presentato, appena seppe da lui stesso che egli era stato la causa del cattivo trattamento usato a suo padre, del dolore e dello spavento che aveva provato, e della necessità in cui si era trovata di dover fuggire precipitosamente, lo considerò un nemico col quale non voleva aver nulla a che fare. Nondimeno, senza manifestare il suo risentimento, immaginò un mezzo di liberarsi destramente dalle mani del re Badr, e fingendo di volerlo compiacere, gli rispose con tutta la cortesia possibile: «Signore, voi siete dunque il figlio della regina Giulnàr, così famosa per la sua singolare bellezza? Ne provo molta gioia, e sono lieta di vedere in voi un principe degno di lei. Il re mio padre ha gran torto di opporsi al nostro matrimonio, ma sono certa che appena vi avrà visto non esiterà a renderci felici». Dicendo queste parole, gli tese la mano in segno di amicizia. Il re Badr si credette al sommo della felicità; e avanzando la mano, prese quella della principessa e si chinò per baciarla con rispetto: ma la principessa non gliene diede il tempo, e gli disse, respingendolo, e percuotendolo in viso: «Temerario, lascia questa forma d'uomo e prendi quella di un uccello bianco con il becco e le zampe rossi!». Appena ebbe pronunciato queste parole, il re Badr fu trasformato in un uccello, con sua grandissima mortificazione e meraviglia. «Prendetelo», disse la principessa ad una delle sue donne, «e portatelo nell'Isola arida.» Quest'isola era una spaventevole roccia, dove non si trovava neppure una goccia d'acqua. La donna prese l'uccello, e nell'eseguire l'ordine della principessa Giàwhara, ebbe compassione del destino del re Badr, e mormorò tra sé: «Sarebbe un gran peccato che un principe così bello morisse di fame e di sete. La principessa che è così dolce e buona, si pentirà forse di un ordine così crudele, quando la collera si sarà calmata. E' meglio che lo porti in un luogo dove possa morire naturalmente!». E lo portò in un'isola ben popolata, lasciandolo in una piacevole campagna dove sorgevano piante di ogni genere innaffiate da numerosi ruscelli. Ritorniamo intanto al re Salih. Dopo aver cercato personalmente la principessa Giàwhara e averla fatta cercare per tutto il palazzo, senza trovarla, egli fece chiudere il re as-Samandal nel suo palazzo sotto buona guardia; e quando ebbe dato gli ordini necessari per il governo del regno in sua assenza, andò a render conto alla regina sua madre di quanto aveva fatto. Avendo chiesto al suo arrivo dove fosse il re suo nipote, gli fu detto con sua grande sorpresa e dispiacere che era sparito. «Quando ci fu annunciato il pericolo che correvi nel palazzo del re as-Samandal», gli disse la regina, «mentre io davo degli ordini per inviarti altri soccorsi, è sparito. E' probabile che sia rimasto spaventato sapendo che eri in pericolo, e che non si sia creduto sicuro tra noi.» Questa notizia afflisse molto il re Salih, che si pentì allora della troppa leggerezza con cui aveva accondisceso al desiderio del re Badr, senza prima parlarne alla regina Giulnàr. Inviò gente dappertutto per trovarlo: ma non poté ottenerne nessuna notizia; dovette intanto lasciare il governo del regno alla regina sua madre per andare di persona a governare quello del re as-Samandal, che continuò a far custodire con molta vigilanza, ma con tutti i riguardi dovuti al suo grado. Nello stesso giorno in cui il re Salih era partito per ritornare nel regno di as-Samandal, la regina Giulnàr, madre del re Badr, arrivò presso sua madre. Questa principessa non si era dapprima spaventata non vedendo ritornare il re suo figlio, immaginandosi che l'ardire della caccia l'avesse trasportato più lontano di quanto si fosse proposto, come talvolta gli era accaduto. Ma quando non lo vide ritornare né l'indomani né il giorno seguente, provò una grande angoscia, di cui è facile giudicare dalla tenerezza che aveva per lui. Quell'angoscia fu ancora più grande quando seppe dagli ufficiali che lo avevano accompagnato, che essi erano stati costretti a ritornare, dopo avere inutilmente cercato a lungo tanto il re quanto Salih suo zio, senza trovarli. Dopo questo rapporto, ella aveva deciso di nascondere la sua afflizione, e li aveva incaricati di tornare sui loro passi e di fare ancora diligenti ricerche. Intanto aveva preso la sua decisione: senza dire nulla a nessuno, dopo aver informato le sue donne che voleva rimanere sola, si tuffò in mare per mettere in chiaro un sospetto che le era venuto che il re Salih potesse aver condotto con sé il re di Persia. Questa grande regina sarebbe stata ricevuta dalla regina sua madre con gran piacere se, non appena l'ebbe scorta, non avesse capito il motivo che l'aveva condotta. «Figlia mia», le disse, «certo non per vedere me sei venuta qui, lo so bene. Tu vieni a chiedermi notizie di tuo figlio, e quello che posso dirti aumenterà la tua angoscia. Avevo provato una gran gioia nel vederlo giungere col re suo zio; ma appena seppi che era partito senza dirti nulla, condivisi le pene che tu certo soffrivi.» Le fece poi il racconto della diligenza con cui il re Salih era andato a fare egli stesso la domanda della principessa Giàwhara e di quanto era accaduto fino alla scomparsa del re Badr. La regina Giulnàr, considerando perduto il suo caro figlio, lo pianse amaramente, dando tutta la colpa al re suo fratello. La regina madre cercò di convincerla della necessità di fare degli sforzi per non cedere al suo dolore. «E' vero», le disse, «che il re vostro fratello non doveva parlare di questo matrimonio così avventatamente, né consentire a condurre il re mio nipote, senza avvertirtene: ma siccome non è certo che il re di Persia sia morto, non devi tralasciare nulla per conservargli il suo regno. Ritorna dunque alla tua capitale, senza perdere tempo, poiché la tua presenza è necessaria e non ti sarà difficile nascondere ciò che è accaduto, annunciando che il re di Persia ha avuto desiderio di venire da noi.» La regina Giulnàr prese commiato dalla regina madre, e ritornò al palazzo della capitale di Persia, prima che qualcuno si fosse accorto della sua lontananza. Mandò subito dei messaggeri a richiamare gli ufficiali mandati in cerca del re suo figlio e ad annunciare loro che aveva saputo dove era, e che ben presto sarebbe stato di ritorno. Fece anche divulgare la notizia per tutta la città, e governò insieme col primo ministro, con la stessa tranquillità come se il re Badr fosse stato presente. Intanto il re Badr, che la donna della principessa Giàwhara aveva portato e lasciato nell'isola, come abbiamo detto, era pieno di stupore, vedendosi solo e sotto forma di uccello. Si stimò tanto più infelice in quello stato, in quanto non sapeva dove fosse. E quand'anche l'avesse saputo e si fosse accorto di aver forze sufficienti nelle ali per poter traversare tanti mari e recarsi in Persia, che avrebbe guadagnato, essendo nell'impossibilità di farsi riconoscere, non solo come re di Persia, ma addirittura come uomo? Fu costretto a restare dov'era, a vivere dello stesso nutrimento degli altri uccelli della sua specie, e a passare la notte sopra un albero. Dopo alcuni giorni un contadino, assai abile nel prendere uccelli con le reti, giunse nel luogo dove egli si trovava, e provò una gran gioia quando ebbe scorto un così bell'uccello, d'una specie a lui sconosciuta, benché fossero molti anni che cacciava con le reti. Usò tutta la destrezza di cui era capace, e prese così bene le sue precauzioni che catturò l'uccello. Lieto di una caccia così straordinaria, mise l'uccello in una gabbia e lo portò in città. Era appena giunto al mercato, quando un borghese lo fermò, domandandogli a quanto volesse vendere l'uccello. Invece di rispondere a quella domanda il contadino domandò a sua volta al borghese che cosa volesse farne quando l'avesse comprato. «Buon uomo», rispose il borghese, «che vuoi che ne faccia se non farlo arrostire per mangiarlo?» «Quand'è così», soggiunse il contadino, «credereste di averlo pagato bene, dandomi una vile moneta: ma io lo stimo assai di più e non ve lo darei nemmeno se me ne deste un dinàr. Io sono assai vecchio, ma da che vivo non ne ho mai veduto uno simile e perciò me ne vado a farne dono al re, che ne apprezzerà il valore più di voi.» Invece di fermarsi al mercato, il contadino andò al palazzo, e si fermò davanti all'appartamento del re, che stava a una finestra da cui vedeva tutto quello che accadeva nella piazza. Non appena ebbe scorto l'uccello, mandò un ufficiale degli eunuchi con l'ordine di comprarlo, e quello andò dal contadino e gli chiese a quanto volesse venderlo. «Se è per il re», rispose il contadino, «chiedo che mi sia concesso l'onore di fargliene dono, e vi prego di portarglielo.» L'ufficiale portò l'uccello al re, il quale lo trovò tanto eccezionale che incaricò l'ufficiale di consegnare dieci dinàr al contadino, che se ne andò contentissimo. Dopo ciò, il re mise l'uccello in una magnifica gabbia, ordinando di dargli cibi di ogni specie, affinché scegliesse quello che più gli piaceva. Poiché era già imbandita la mensa, quando il re diede quest'ordine, l'uccello, battute l'ali, sfuggì dalle mani del re, e volò sulla tavola, dove si mise a beccare ora in un piatto, ora in un altro, con grandissima sorpresa del re, che mandò l'ufficiale degli eunuchi ad avvertire la regina di venire a vedere quello strano spettacolo. Appena giunse, la regina, vedendo l'uccello, si coprì il volto col velo e voleva andarsene. Il re meravigliato da quell'atto, tanto più che nella camera non c'era nessun altro oltre agli eunuchi e alle donne che l'avevano seguita, le chiese per quale motivo si fosse coperta il viso. «Sire», rispose la regina, «non sarete più stupito quando saprete che questo uccello non è un vero uccello, come credete, ma un uomo.» «Signora», disse il re ancora più meravigliato, «voi volete burlarvi di me ma non mi persuaderete mai che questo uccello sia un uomo.» «Sire, il cielo mi guardi dal burlarmi di voi! Nulla è più vero di quanto ho l'onore di dirvi e vi assicuro che egli è il re di Persia, chiamato Badr, figlio della celebre Giulnàr, principessa di uno dei più grandi regni del mare; è nipote di Salih re di quel grande regno, e della regina Farasha, madre di Giulnàr e di Salih. Egli è stato così trasformato dalla principessa Giàwhara, figlia del re as-Samandal.» Affinché il re non potesse più dubitare, gli raccontò come e perché la principessa Giàwhara si fosse così vendicata del cattivo trattamento che il re Salih aveva fatto al re as-Samandal suo padre. Il re non trovò difficoltà a prestar fede a quanto la regina gli aveva narrato, perché sapeva che ella era una maga tra le più potenti che vi fossero mai state, e che non ignorava nulla di tutto ciò che accadeva, tanto che egli era subito informato per suo mezzo dei cattivi propositi dei re suoi vicini contro di lui, e li preveniva. Egli ebbe compassione del re di Persia, e pregò la regina di sciogliere l'incantesimo che lo teneva sotto quella forma. La regina vi acconsentì con molto piacere e disse al re: «Sire, compiacetevi di entrare nel vostro studio con l'uccello: e tra pochi minuti vi farò vedere un re degno della considerazione che avete per lui». L'uccello che aveva smesso di mangiare per prestare attenzione al colloquio del re e della regina, non fece faticare il re per prenderlo, ma anzi entrò per primo nello studio, e la regina entrò subito dopo con un vaso pieno d'acqua in mano. Essa pronunciò sul vaso delle parole sconosciute al re finché l'acqua cominciò a gorgogliare; ne prese allora nella mano e gettandola sull'uccello disse: «Per la virtù delle parole sante e misteriose che ho pronunciato, ed in nome del creatore del cielo e della terra, lascia questa forma d'uccello, e riprendi quella che hai ricevuta dal tuo creatore!». Appena la regina ebbe terminate queste parole, il re vide apparire al posto dell'uccello un giovane principe di bella statura, e di leggiadro aspetto, che si conquistò subito la sua simpatia. Il re Badr si prostrò immediatamente, rendendo grazie a Dio del favore ricevuto. Poi, rialzatosi, prese la mano del re e la baciò, per dimostrargli la sua riconoscenza. Ma il re l'abbracciò con molta gioia, e gli mostrò la sua soddisfazione nel vederlo. Avrebbe anche voluto ringraziare la regina: ma ella si era già ritirata nel suo appartamento. Il re lo fece sedere a tavola accanto a sé e dopo il pasto lo pregò di raccontargli perché la principessa Giàwhara avesse avuta la crudeltà di trasformare in uccello un principe tanto amabile quanto lui; e il re di Persia subito lo accontentò. Quando ebbe finito, il re, sdegnato del comportamento della principessa, non poté impedirsi di biasimarla con queste parole: «Era giusto che la principessa figlia di as-Samandal non si mostrasse insensibile al trattamento che era stato fatto al re suo padre. Ma che abbia spinto la sua vendetta a un tal punto e contro un principe che non doveva essere ritenuto responsabile, questo è ciò che non sarà mai giustificato presso alcuno. Ma lasciamo questo discorso: ditemi in che altro posso servirvi?». «Sire», rispose il re Badr, «devo tanto alla maestà vostra che dovrei restare per tutta la vita presso di lei per mostrare la mia riconoscenza. Ma giacché voi non mettete limiti alla vostra generosità, vi supplico di volermi concedere una delle vostre navi per ricondurmi in Persia, perché temo che la mia assenza abbia causato disordine, e che la regina mia madre, cui ho nascosta la mia partenza, sia morta dal dolore non sapendo neppure se sono vivo o morto.» Il re gli concedette quanto gli domandava con la miglior grazia del mondo, e senza rimandare, ordinò che si equipaggiasse la nave più forte e più agile che ci fosse nella sua flotta; la nave fu ben presto apprestata con tutti i suoi mozzi, marinai, soldati e con tutte le provviste e munizioni necessarie: e appena il vento fu favorevole il re Badr vi s'imbarcò, dopo essersi accomiatato dal re, e averlo ringraziato di tutti i benefici di cui gli era debitore. La nave alzò le vele, e col vento in poppa, procedette magnificamente per dieci giorni senza interruzione; l'undicesimo giorno invece il vento girò in direzione contraria e da ultimo divenne così violento che si scatenò una furiosa tempesta. La nave non solo fu deviata dalla sua rotta, ma fu tanto sbattuta dalla tempesta che tutti i suoi alberi si ruppero, e rimasta in balìa del vento, finì in una secca dove si sfasciò. La maggior parte dell'equipaggio annegò subito, dei rimanenti alcuni si affidarono alla forza delle braccia per salvarsi a nuoto, mentre altri si attaccarono a qualche pezzo di legno o a qualche tavola. Badr fu tra questi e, trasportato ora dalle correnti, ora dalle onde, in grande incertezza per il suo destino, si accorse finalmente di essere giunto vicino alla terra, e poco lontano da una città che sembrava molto importante. Profittò delle ultime forze che gli restavano per approdarvi, e giunse finalmente vicino alla riva, dove il mare era tranquillo. Toccò il fondo, ed abbandonò subito il pezzo di legno, che gli era stato di grande aiuto. Ma, avanzando nell'acqua per raggiungere la spiaggia, fu assai sorpreso di vedere accorrere da ogni parte cavalli, cammelli, muli, asini, buoi, tori, e altri animali, che si schieravano in modo da impedirgli di raggiungere la terra, e dovette sostenere grandi fatiche per vincere la loro ostinazione e aprirsi un varco. Quando ne fu venuto a capo, si pose al riparo di alcune rocce, finché riprese fiato, ed ebbe asciugato il suo abito al sole. Quando il principe volle avanzare per entrare in città, gli stessi animali vi si opposero ugualmente, come se avessero voluto distoglierlo dal suo proposito e fargli comprendere che era pericoloso per lui avanzare. Il re Badr entrò finalmente nella città, e vide delle strade belle e spaziose, ma, con sua grandissima meraviglia, non incontrò nessuno. Quella grande solitudine gli fece riflettere che non senza ragione tanti animali avevano fatto quanto era in loro potere per obbligarlo ad allontanarsene invece che entrarvi. Nondimeno avanzando, notò alcune botteghe aperte, e da ciò comprese che la città non era deserta, come si era immaginato. Si avvicinò a una di quelle botteghe dov'erano esposte parecchie qualità di frutta in maniera assai attraente, e salutò un vecchio che stava seduto lì presso. Il vecchio, occupato a fare qualche cosa, alzò finalmente la testa e chiese con un fare molto sorpreso, da dove venisse e quale motivo l'avesse condotto là. Il re Badr lo soddisfece in poche parole e il vecchio gli domandò se avesse per caso incontrato qualcuno sulla sua strada. «Voi siete il primo che vedo», rispose il re, «e non riesco a capire come mai una città così bella e grande sia tanto deserta.» «Entrate, non restate sulla porta», replicò il vecchio, «perché potrebbe accadervi qualcosa di male. Soddisferò subito la vostra curiosità e vi dirò la ragione per cui è bene che siate cauto.» Il re Badr non se lo fece dire due volte, ed entrò sedendosi vicino al vecchio. Questi, che aveva compreso dal racconto di tante sciagure che il principe aveva bisogno di nutrimento, gli offrì prima di tutto di che riprendere forza e, quantunque il re Badr l'avesse pregato di spiegargli perché avesse insistito per farlo entrare, non volle dirgli nulla se non dopo che avesse mangiato, perché le tristi notizie che aveva da dirgli non gli impedissero di nutrirsi tranquillamente. Difatti, quando vide che non mangiava più, gli disse: «Voi dovete ringraziare Dio di essere venuto in casa mia senza nessun danno». «E perché?», chiese il re Badr, oltremodo spaventato. «E' necessario sappiate», soggiunse il vecchio, «che questa città si chiama la Città degli Incanti e che è governata da una regina, la più bella fra tutte le donne, che è anche maga: la più perfida e pericolosa che ci possa essere. Voi ve ne convincerete quando saprete che tutti quegli animali che avete visti, sono altrettanti uomini così trasformati dalla sua arte diabolica. Essa ha incaricato delle persone di arrestare tutti i giovani belli come voi che entrano nella città, e di condurli di buon grado, o per forza, davanti a lei. Essa li riceve con cortesi accoglienze, li carezza, li ospita, li alloggia magnificamente, e li tratta così bene, che facilmente li convince che li ama: ma non li lascia godere a lungo della loro felicità, perché non ce n'è neppure uno che essa non trasformi in qualche animale, o in qualche uccello alla fine di quaranta giorni. Voi mi avete parlato di tutti quegli animali che si sono opposti a voi per impedirvi di approdare e di entrare nella città; essi lo facevano, non potendo farvi capire in altro modo il pericolo cui vi esponevate.» Questo discorso afflisse estremamente il giovane re di Persia. «Ohimè», esclamò, «in quale situazione disperata sono ridotto per il mio indegno destino! Sono appena stato liberato da un incantesimo di cui sento ancora orrore, e già mi vedo esposto a quest'altro più terribile.» Ciò gli diede l'occasione di raccontare la sua storia al vecchio, di parlargli della sua nascita, delle sue qualità, della sua passione per la principessa figlia di as-Samandal e della crudeltà con cui l'aveva trasformato in uccello mentre, avendola incontrata, le faceva una dichiarazione d'amore. Il vecchio volle rassicurarlo, dicendogli: «Quantunque quanto vi ho detto della regina maga e della sua malvagità sia vero, pur ciò non deve causarvi tanta inquietudine quanta ne mostrate. Io sono amato in tutta la città, sono conosciuto dalla regina, e posso dire che lei ha molta considerazione per me. E' quindi una grande fortuna che il destino vi abbia indirizzato a me, piuttosto che ad altri. Nella mia casa siete sicuro, e vi consiglio di restare qui, se volete; purché non vi allontaniate, vi garantisco che non vi accadrà nulla che possa darvi motivo di scontento della mia ospitalità. Perciò non occorre che vi angustiate tanto». Il re Badr ringraziò il vecchio dell'ospitalità e della protezione che gli dava con tanta buona volontà. Mentre era seduto all'ingresso della bottega, la sua giovinezza e la sua bellezza attirarono gli sguardi di tutti i passanti. Molti si fermarono anche e si congratularono col vecchio per aver acquistato uno schiavo così bello, perché tale credevano che fosse. E molti sembravano assai sorpresi, perché non potevano capire come un giovane così bello avesse potuto sfuggire alle ricerche della regina. «Non pensate che sia uno schiavo», diceva loro il vecchio, «non sono abbastanza ricco né di condizione tale da potermene procurare uno di questa qualità. Questo è mio nipote, figlio di un fratello che è morto, e siccome io non ho figli, l'ho fatto venire per tenermi compagnia.» Essi si congratularono con lui per la soddisfazione che doveva provare per il suo arrivo, ma insieme non poterono trattenersi dall'esprimere il loro timore che la regina glielo togliesse. «Voi la conoscete», gli dicevano, «e non dovete ignorare il pericolo al quale vi siete esposto. Quale dolore sarebbe il vostro se lo trattasse nello stesso modo con cui ha trattato tanti altri a noi ben conosciuti!» «Io vi sono molto grato», rispondeva loro il vecchio, «della vostra buona amicizia, e della parte che prendete ai miei interessi, e ve ne ringrazio con tutta la riconoscenza possibile; ma mi guarderei bene dal pensare che la regina possa causarmi il minimo dispiacere, dopo tutta la bontà che ha già avuta per me. In caso che le giunga qualche notizia e che me ne parli, spero non penserà più a lui appena le avrò dichiarato che è mio nipote.» Il vecchio andava in estasi sentendo le lodi attribuite al giovane re di Persia, prendendovi parte come se realmente fosse figlio suo, e cominciò a nutrire per lui una grande amicizia che andò aumentando a misura che lo conosceva meglio, vivendo sempre in casa accanto a lui. Era circa un mese che vivevano insieme, quando un giorno, mentre il re Badr stava seduto all'ingresso della bottega secondo il solito, la regina Lab (così si chiamava la regina maga) passò davanti alla casa del vecchio con gran lusso. Il re Badr appena vide l'avanguardia che camminava davanti a lei si alzò, e rientrò nella bottega, chiedendo al vecchio che cosa stesse accadendo. «E' la regina che passa», egli rispose, «ma restate, e non temete di nulla.» Le guardie della regina Lab, vestite tutte con una tunica color porpora, equipaggiate magnificamente, passarono in quattro file, con la sciabola alzata. Erano mille, e non vi fu neppure un ufficiale che non salutasse il vecchio, passando davanti alla sua bottega. Furono poi seguiti da un ugual numero di eunuchi vestiti di broccato. Dopo questi, altrettante giovani damigelle, quasi tutte bellissime, riccamente vestite e ornate di pietre preziose, venivano a piedi con passo grave e con la mezza picca in mano: e la regina Lab avanzava in mezzo a loro su un cavallo tutto splendente di diamanti, con una sella d'oro e una gualdrappa d'inestimabile valore. Anche le giovani damigelle salutavano il vecchio man mano che passavano, e la regina, colpita dall'avvenenza del re Badr, si fermò davanti alla bottega, e disse al vecchio, chiamandolo per nome: «Abdallàh, ditemi, vi prego, è vostro questo schiavo così leggiadro e così bello? E' molto tempo che ne avete fatto acquisto?». Prima di rispondere alla regina, Abdallàh si prostrò contro terra, e poi rialzandosi disse: «Signora, questi è mio nipote, figlio di un mio fratello morto non molto tempo fa. Poiché non ho figli, lo considero come se fosse mio e l'ho fatto venire per mia consolazione, e per lasciargli dopo la mia morte quel poco che avanzerà». La regina Lab, che non aveva visto nessuno così bello come il re Badr, e che aveva subito provata una fortissima passione per lui, pensò dopo questo discorso che occorreva trovare il modo per convincere il vecchio a consegnarglielo. «Buon padre», soggiunse, «non volete farmi la cortesia di darmelo in dono? Non me lo rifiutate, ve ne prego: e giuro sul fuoco e la luce che lo renderò così grande e potente, che nessuno al mondo avrà avuto pur non essendo re una simile fortuna. Quand'anche avessi il proposito di far male a tutto il genere umano, egli sarà il solo che mi guarderò bene dal danneggiare. Io nutro speranza che mi concederete quello che vi chiedo più per l'amicizia che voi avete per me, che per la stima che ho e che ho sempre avuta della vostra persona.» «Signora», rispose il buon Abdallàh, «io sono infinitamente grato alla maestà vostra di tutta la bontà che ha per me e dell'onore che vuol fare a mio nipote: ma egli non è degno di avvicinare una grande regina come voi e supplico la maestà vostra di dispensarmene.» «Abdallàh», rispose la regina, «io mi ero illusa che mi amaste di più, e non avrei mai creduto che doveste darmi una prova così evidente del poco conto in cui tenete le mie preghiere. Ma giuro ancora una volta per il fuoco e per la luce, e per ciò che è sacro nella mia religione, che non me ne andrò se non avrò vinta la vostra ostinazione! Comprendo assai bene che ciò vi causa pena: ma vi prometto che non vi pentirete di avermi accontentata» Il vecchio Abdallàh era molto avvilito, soprattutto di fronte al re Badr per essere costretto a cedere alla volontà della regina. «Signora», rispose, «non voglio che la maestà vostra abbia cattiva opinione del rispetto che ho per lei, né del mio zelo a contribuire a tutto ciò che può farle piacere. Confido interamente sulla sua parola. La supplico solamente di rimandare questo grande onore che vuol fare a mio nipote fino alla prossima volta che passerà per di qua.» «Sarà dunque domani», aggiunse la regina, e così dicendo chinò la testa per dimostrargli la sua gratitudine, e riprese la via del palazzo. Quando la regina Lab fu passata con tutto il corteo che l'accompagnava, il buon Abdallàh disse al re Badr: «Figlio mio, (aveva infatti preso l'abitudine di chiamarlo così per non farlo riconoscere parlando di lui in pubblico) io non ho potuto, come voi stesso avete visto, rifiutare alla regina ciò che mi ha domandato con l'autorità di cui siete stato testimone. Non ho voluto spingerla a compiere qualche violenza palese, o segreta, adoperando la sua arte magica; avrebbe potuto, se irritata, farvi subire per dispetto, tanto contro di voi quanto contro di me, un trattamento più crudele di tutti quelli che ha immaginato finora e di cui vi ho già parlato. Ho qualche ragione per credere che vi tratterà bene come mi ha promesso, per la considerazione tutta particolare che ha per me. Voi avete potuto osservare quanto io sia stimato da tutta la sua corte, dagli onori che mi sono stati resi. Ella sarebbe maledetta dal cielo se m'ingannasse: ma non m'ingannerebbe impunemente e saprei vendicarmene!». Queste assicurazioni non fecero grand'effetto sullo spirito del re Badr. «Dopo quanto m'avete raccontato della malvagità di quella donna», rispose, «non vi nascondo che temo d'avvicinarmi a lei. Potrei forse non dar peso a quello che mi avete detto, e lasciarmi abbagliare dallo splendore della grandezza che la circonda, se non sapessi per esperienza personale che significhi essere in balìa d'una maga. Lo stato in cui mi sono trovato per l'incantesimo della principessa Giàwhara e dal quale sono stato liberato per ricadere in quest'altro, non può che suscitare in me orrore per la regina.» Le lacrime gli impedirono di dir altro, e mostrarono quanta ripugnanza sentisse per la fatale necessità di essere consegnato nelle mani della regina Lab. «Figlio mio», soggiunse il vecchio Abdallàh, «non vi affliggete tanto; confesso che non si può fare molto affidamento sulle promesse e anche sui giuramenti d'una regina così malvagia. Voglio però che sappiate che ella non ha potere su di me. Ella non l'ignora: ed è per questo, più che per qualsiasi altro motivo, che ha tanti riguardi per me. Saprei ben impedirle di farvi il minimo male, quando fosse così perfida da osare tanto. Voi potete fidarvi di me, e, purché seguiate esattamente i consigli che vi darò prima di abbandonarvi a lei, vi garantisco che non avrà alcun potere su di voi.» La regina maga non mancò di passare l'indomani davanti alla bottega del vecchio Abdallàh con la stessa pompa del giorno innanzi; il vecchio l'attendeva col più grande rispetto. «Buon padre», gli disse fermandosi, «voi dovete giudicare la mia impazienza di avere vostro nipote presso di me dall'esattezza con cui sono venuta a ricordarvi di adempiere la vostra promessa. Io so che voi siete uomo di parola, e non penso neppure che abbiate cambiato idea.» Abdallàh, che s'era prostrato appena aveva veduto avvicinarsi la regina, si rialzò, quando ebbe cessato di parlare, e non volendo che qualcuno potesse sentire quello che aveva da dirle, avanzò con rispetto fino alla testa del cavallo e a voce bassa le disse: «Potente regina, confido che la maestà vostra non prenderà in cattiva parte le difficoltà che feci ieri per affidarle mio nipote; ella deve aver compreso le mie ragioni. Oggi volentieri glielo affido, ma la supplico di voler scordare con lui tutti i segreti di quella scienza meravigliosa che ella possiede in supremo grado. Io considero mio nipote come mio figlio, e la maestà vostra mi getterebbe nella disperazione se lo trattasse in modo diverso da quello che ha avuto la bontà di promettermi». «Ve lo prometto di nuovo», rispose la regina, «e vi ripeto con lo stesso giuramento di ieri che tanto voi quanto lui non avrete che da rallegrarvi di ciò. Vedo che non mi conoscete ancora bene», aggiunse, «finora non m'avete veduta che col viso coperto: ma siccome trovo vostro nipote degno della mia amicizia, voglio farvi vedere che io non sono indegna della sua.» Ciò detto, lasciò vedere al re Badr, che s'era avvicinato con Abdallàh, una bellezza incomparabile, da cui peraltro il re Badr fu poco impressionato, poiché era persuaso che essere belli non è tutto e che bisogna anche che le azioni siano corrispondenti alla bellezza. Mentre il re Badr faceva queste considerazioni con gli occhi fissi sulla regina Lab, il vecchio Abdallàh si rivolse dalla sua parte e prendendolo per la mano glielo presentò, dicendole: «Eccolo, signora! Supplico la maestà vostra ancora una volta, di ricordarsi che è mio nipote, e di permettergli di venire qualche volta a trovarmi». La regina glielo promise, e, per provargli la sua riconoscenza, gli fece dare un sacco di mille dinàr che aveva fatto portare, e che il vecchio dapprima non volle prendere; ma poiché ella insisteva fermamente perché lo accettasse, non se ne poté dispensare. Ella aveva fatto condurre un cavallo riccamente bardato come il suo, per il re di Persia, cui venne presentato, e mentre stava per mettere il piede nella staffa, la regina disse ad Abdallàh: «Mi dimenticavo di domandarvi come si chiama vostro nipote?». E dopo che gli ebbe risposto che si chiamava Badr: «Si sono sbagliati», disse, «dovevano chiamarlo Shams». Appena il re Badr fu salito a cavallo, andò a mettersi dietro alla regina: ma lei lo fece avanzare alla sua sinistra, e volle che camminasse al suo fianco. Essa guardò Abdallàh, e dopo avergli fatto un saluto con il capo, ripigliò la sua strada. Il re Badr notò che il popolo invece di dimostrare una certa soddisfazione accompagnata da rispetto alla vista della sovrana, la guardava con disprezzo, e che molti proferivano imprecazioni contro di lei. «La maga», dicevano alcuni, «ha trovato un altro su cui esercitare la sua malvagità; il cielo non libererà mai dunque il mondo dalla sua tirannide?» «Povero straniero», esclamavano altri, «ti inganni, se credi che la tua felicità sia duratura; soltanto per rendere più precipitosa la tua caduta, vieni innalzato così in alto!» Questi discorsi gli confermarono che il vecchio Abdallàh gli aveva dipinta la regina Lab quale era veramente: ma siccome non dipendeva più da lui di sottrarsi al pericolo in cui era, s'abbandonò alla provvidenza, e a ciò che sarebbe piaciuto al cielo di decidere sulla sua sorte. La regina maga arrivò al suo palazzo, e, quando fu scesa a terra, si fece dare la mano dal re Badr, ed entrò con lui, accompagnata dalle sue donne, e dagli ufficiali dei suoi eunuchi. Ella stessa gli fece vedere tutti gli appartamenti dove c'era abbondanza di oro massiccio, di gioielli e mobili d'una magnificenza straordinaria. Quando l'ebbe condotto nel suo salottino particolare, avanzò con lui sul balcone, e gli fece notare un giardino d'una bellezza incantata. Il re Badr lodava quanto vedeva con molto spirito, non dimenticando però di comportarsi in modo che non potesse sospettare che egli non era nipote del vecchio Abdallàh. Parlarono di cose indifferenti fino a che vennero ad avvertire la regina che il pranzo era servito. La regina ed il re Badr si alzarono e andarono a sedersi a una tavola che era d'oro massiccio, ed i piatti erano dello stesso materiale. Mangiarono senza quasi bere fino alla frutta, ma allora la regina si fece riempire la coppa d'oro d'eccellente vino, e dopo aver bevuto alla salute del re Badr, la fece riempire di nuovo senza lasciarla e gliela offrì. Il re Badr la ricevette con molto rispetto, e con un profondo inchino, mostrando che beveva alla salute di lei. A questo punto, dieci schiave della regina Lab entrarono con i loro strumenti, con cui diedero un piacevole concerto unendo le loro voci alla musica, ed essi continuarono a bere fino a notte inoltrata. Finalmente a forza di bere si eccitarono l'uno e l'altra tanto, che il re Badr dimenticò che la regina era maga, e non la considerò che come la più bella regina del mondo. Appena la regina si accorse d'averlo condotto al punto desiderato, fece segno agli eunuchi ed alle sue ancelle di ritirarsi. Essi obbedirono, ed il re Badr rimase insieme con lei. L'indomani la regina e il re Badr andarono al bagno appena alzati; all'uscirne le donne che avevano servito il re, gli presentarono della biancheria molto fine e un magnifico abito. La regina, avendo scelto un abito più sontuoso di quello del giorno precedente, andò a prenderlo, e andarono insieme nel suo appartamento, dove fu loro servito un buon pranzo, dopo il quale passarono la giornata piacevolmente passeggiando nel giardino e godendo di molti altri divertimenti. La regina Lab trattò il re Badr in questo modo per quaranta giorni, come aveva l'abitudine di fare con tutti i suoi amanti. La notte del quarantesimo giorno, mentre stavano coricati, la regina, credendo che il re Badr dormisse, si alzò senza far rumore; il re Badr, che era sveglio, e che si accorse che lei aveva qualche proposito recondito, finse di dormire, e stette attento alle sue azioni. Quando ella fu alzata, aprì una cassetta e ne trasse un vasetto pieno d'una polvere gialla. Prese di quella polvere e ne versò una striscia sul pavimento attraverso la camera. Subito quella striscia si trasformò in un ruscello d'acqua limpidissima, con grande meraviglia del re Badr, che ne tremò di spavento, ma che continuò a fingere di dormire per non far comprendere alla maga che stava spiando quello che faceva. La regina Lab attinse acqua dal ruscello con un vaso, e ne versò in un catino dove c'era della farina; fece una pasta e vi mise certe droghe prese da vasi differenti, formando una torta che pose in una casseruola coperta. Siccome, prima di cominciare le sue manipolazioni, essa aveva acceso un gran fuoco, ne trasse della brace, vi mise sopra la casseruola, e, mentre la torta cuoceva, ripose i vasi e la cassetta al loro posto, ed a certe sue parole magiche, anche il ruscello disparve. Quando la torta fu cotta, la tolse dalla brace, e la portò in un salottino, dopo di che andò di nuovo accanto al re Badr. Questi, cui i piaceri e i divertimenti avevano fatto dimenticare il buon vecchio Abdallàh suo ospite, si ricordò improvvisamente di lui e pensò di aver bisogno del suo consiglio dopo quanto aveva visto fare dalla regina Lab durante la notte. Appena alzato, manifestò alla regina il desiderio di andarlo a trovare e la supplicò di voler essere tanto gentile da permetterglielo. «E come, mio caro Badr», rispose, «siete già stanco di restare in un palazzo così superbo e dove vi sono tanti divertimenti? Eppure siete in compagnia di una regina che vi ama appassionatamente e che ve ne dà tante prove!» «Gran regina», rispose il re Badr, «e come potrei io annoiarmi tra tante grazie e tanti favori con cui la maestà vostra ha la bontà di colmarmi? Al contrario, signora, io domando questo permesso soltanto per dire a mio zio della molta gratitudine che devo alla maestà vostra, e per fargli sapere che non l'ho dimenticato.» «Andate allora», soggiunse la regina, «ve lo permetto, ma ritornate presto, perché non posso vivere un solo momento senza di voi.» E fattogli dare un cavallo riccamente bardato, il re Badr partì. Il vecchio Abdallàh fu lietissimo di rivedere il re Badr: e senza aver riguardo alla sua qualità, l'abbracciò amorevolmente. Quando si furono seduti, Abdallàh domandò al re: «Ebbene, come vi siete trovato, e come vi trovate con quella maga infedele?». «Finora», rispose il re Badr, «posso dire che ha avuto per me ogni specie di riguardi e tutta la premura possibile, per persuadermi che mi ama totalmente: ma ho notato una cosa questa notte che mi ha dato un giusto motivo di sospettare che tutto quello che ha fatto sia stato solo finzione. Mentre credeva che dormissi profondamente, ed ero invece ben desto, ho scoperto che pian piano s'è alzata e s'è allontanata da me con molte precauzioni. Queste precauzioni hanno fatto sì che invece di riaddormentarmi rimanessi ad osservarla, fingendo però di dormire.» Continuando il suo racconto gli descrisse come e in quali circostanze aveva veduto fare la torta. Terminato il suo racconto, continuò: «Fino allora, vi confesso, avevo quasi dimenticato tutti gli avvertimenti che mi avevate dato sulla sua malvagità. Ma quest'azione mi ha fatto temere che ella non abbia intenzione di mantenere né la parola data, né i giuramenti solenni; allora ho subito pensato a voi, e sono felice che mi abbia permesso di venire con più facilità di quanto mi attendessi». «Non vi siete ingannato», rispose il vecchio Abdallàh con un sorriso che denotava che neppure lui aveva creduto che lo avrebbe trattato diversamente, «niente può obbligare la perfida a correggersi. Ma non temete: io so come fare perché il male che vuol fare a voi ricada su lei. Voi vi siete giustamente insospettito e non potevate far di meglio che ricorrere a me. Siccome io so che non tiene i suoi amanti più di quaranta giorni, e che invece di rimandarli cortesemente, li trasforma in animali, dei quali riempie le sue foreste, i suoi parchi e le sue campagne, ho preso fin da ieri ogni precauzione per impedirle di trattarvi in tal modo. E' troppo tempo che la terra sopporta questo mostro, ed è necessario che ora lei stessa sia trattata come si merita.» Dette queste parole, Abdallàh mise due torte nelle mani del re Badr, e gli disse di custodirle e di usarle poi come gli avrebbe indicato. «Mi avete detto», soggiunse, «che questa notte la maga ha fatto una torta, certamente per farvela mangiare: ma guardatevi bene dal gustarne. Ciò nonostante prendetene quando ve la offrirà, e, invece di mettervela in bocca, fate in modo di mangiare invece di quella una di queste due che vi ho date, senza che se ne accorga. Appena avrà creduto che avete mangiato la sua, non mancherà di tentare di trasformarvi in qualche animale; ma non vi riuscirà, ed allora volgerà la cosa in scherzo, come se avesse voluto farlo per gioco e per farvi un po' di paura, mentre ne avrà un dispetto terribile, poiché crederà di aver sbagliato qualche cosa nella composizione della sua torta. In quanto all'altra torta che vi ho data, gliene farete dono e la solleciterete a mangiarne. Ella ne mangerà solo per non darvi motivo di diffidare di lei. Quando ne avrà mangiato, prendete un po' d'acqua nel cavo della mano, e gettandogliela sul viso dite: "Lascia questa forma e prendi quella di tal animale" (potrete scegliere quello che più vi piacerà) e poi venite da me con quell'animale ed io vi dirò quello che dovrete fare». Il re Badr espresse al vecchio Abdallàh la sua gratitudine per le cure che si prendeva per impedire che una maga così pericolosa potesse esercitare la sua malvagità contro di lui: e dopo essersi trattenuto ancora qualche tempo, lo lasciò e ritornò dalla regina Lab. Arrivando, seppe che la maga l'aspettava nel giardino, con grande impazienza. Andò a cercarla, ed essa, non appena l'ebbe veduto, corse a lui con premura dicendogli: «Caro Badr, hanno davvero ragione di dire che nulla fa aumentare l'amore quanto la lontananza dell'oggetto amato: io non ho avuto riposo dacché non vi ho più visto, e mi sembra di non avervi visto da anni. Se aveste tardato ancora, sarei venuta io stessa a cercarvi». «Signora», rispose Badr, «posso assicurare la maestà vostra che non avevo minore impazienza di ritornare presso di lei: ma non ho potuto rifiutare alcuni momenti di colloquio a uno zio che mi ama e non mi aveva visto da tanto tempo. Egli voleva tenermi con sé, ma io mi sono strappato alla sua tenerezza per venire dove l'amore mi chiamava e della colazione che mi aveva preparata, mi sono accontentato di prendere una torta che vi ho portata. Il re Badr, che aveva avvolto una delle due torte in un fazzoletto pulitissimo, lo svolse e offrendogliela disse: «Eccola, signora vi supplico di gradirla». «L'accetto volentieri», rispose la regina prendendola, «e ne mangerò con piacere per amor vostro e di vostro zio, mio buon amico: ma prima voglio che per amore mio mangiate di questa, che ho fatta durante la vostra assenza.» «Bella regina», le disse il re Badr con rispetto, «mani come quelle della maestà vostra non possono far nulla che non sia eccellente, e mi fate un favore tale che non posso dimostrarvene abbastanza riconoscenza.» Il re Badr sostituì destramente alla torta della regina l'altra che il vecchio Abdallàh gli aveva dato e ne ruppe un pezzo che portò alla bocca. «Ah, regina», esclamò mangiandola, «non ho mai assaggiato nulla di più squisito!» Siccome erano vicini a una fontana, la maga, non appena vide che egli aveva inghiottito un boccone e che stava per mangiarne un altro, prese dell'acqua della fontana nel cavo della mano, e gettandogliela in viso gli disse: «Sciagurato, lascia questa figura d'uomo, e prendi quella di un brutto cavallo orbo e zoppo!». Queste parole non fecero nessun effetto, e la maga fu estremamente meravigliata di vedere che il re Badr non era affatto mutato e manifestava solamente i segni di un grande spavento. Divenne tutta rossa per la stizza, ma, vedendo che il suo colpo era fallito, gli disse: «Caro Badr, non è nulla, rimettetevi: non avrei certo voluto farvi del male; l'ho fatto solamente per vedere che cosa avreste detto! Certo sarei la più miserabile di tutte le donne se commettessi un'azione così infame, non solamente dopo i giuramenti fatti ma anche dopo le prove d'amore che vi ho dato». «Potente regina», rispose il re Badr, «quantunque sia persuaso che lo avete fatto solo per scherzo, nondimeno non posso negare di esser rimasto molto sorpreso. Come non provare un po' di emozione nell'udire parole capaci di compiere una trasformazione così straordinaria? Ma, signora lasciamo questo discorso, e poiché ho mangiato della vostra torta, fatemi la grazia di gustare la mia.» La regina Lab che non poteva giustificarsi meglio che dando questa prova di fiducia al re di Persia, ruppe un pezzo di torta e ne mangio. Dopo che l'ebbe inghiottita, si turbò e restò come immobile. Il re Badr, senza perdere tempo, prese dell'acqua dalla stessa vasca e gettandogliela in viso esclamò: «Crudele maga, lascia questa figura umana e prendi quella di una cavalla». Subito la regina Lab fu trasformata in una cavalla bellissima e la sua confusione fu tanto grande nel vedersi tale, che versò lacrime in abbondanza. Abbassò la testa fino ai piedi del re Badr come per muoverlo a compassione; ma quand'anche egli si fosse lasciato commuovere non era più in suo potere riparare il male che aveva fatto. Egli condusse la cavalla nella scuderia del palazzo e la affidò a un palafreniere per farle mettere la sella e le briglie. Fece poi sellare e mettere la briglia a due cavalli, uno per lui e l'altro per il palafreniere, dal quale si fece seguire fino alla casa del vecchio Abdallàh, per condurre la cavalla a mano. Abdallàh, vedendo da lontano il re Badr e la cavalla, non dubitò che egli avesse fatto quanto gli aveva raccomandato. «Maledetta maga», disse subito tra sé con gioia, «il cielo ti ha finalmente castigata come meritavi!» Il re Badr scese a terra arrivando, ed entrò nella bottega di Abdallàh, che abbracciò, ringraziandolo di tutti i favori che gli aveva fatto. Gli raccontò l'accaduto, e gli disse pure di non aver trovata nessuna briglia adatta alla cavalla. Abdallàh, che ne aveva una la mise lui stesso alla cavalla ed appena il re Badr ebbe rimandato al palazzo il palafreniere con i due cavalli, gli disse: «Sire, non avete bisogno di rimanere oltre in questa città, salite sulla cavalla, e tornate nel vostro regno. La sola cosa che debbo raccomandarvi, è che, quando vogliate disfarvi della cavalla, dovete guardarvi dal darla con la briglia». Il re Badr gli promise di ricordarsene, e, dopo avergli detto addio, partì. Il giovine re di Persia appena fu fuori dalla città, non poté trattenere la gioia di essersi liberato da un così gran pericolo, e di avere a sua disposizione la maga che aveva tanto giustamente temuta. Tre giorni dopo la sua partenza arrivò in una grande città, e mentre era in un sobborgo, incontrò un vecchio dai bei capelli bianchi che andava a piedi verso una casa di campagna che aveva in quel posto. «Signore», gli disse il vecchio fermandosi, «mi è permesso chiedervi da dove venite?» Il re Badr si fermò per soddisfarlo, e, mentre il vecchio gli faceva molte domande, sopraggiunse una vecchia che si mise a piangere guardando la cavalla con grandi sospiri. Il re Badr e il vecchio interruppero il loro colloquio per guardare la vecchia, ed il re Badr le chiese quale motivo avesse di piangere. «Signore», rispose, «la vostra cavalla rassomiglia esattamente a una che aveva mio figlio e che io piango ancora per amor suo. Penserei che sia la stessa se quella non fosse morta. Vendetemela, ve ne supplico, e ve la pagherò quanto vale, ed oltre a ciò vi sarò eternamente grata.» «Buona madre», rispose il re Badr, «mi dispiace di non potervi concedere quel che mi chiedete, ma la mia cavalla non è in vendita.» «Ah! signore», insistette la vecchia, «non me la rifiutate in nome del cielo. Moriremo dal dispiacere, mio figlio e io, se non ci concedete questa grazia!» «Buona madre», replicò il re Badr, «io ve la concederei volentieri, se volessi disfarmi di questa buona cavalla: ma anche se ciò fosse, non credo vorreste darmi mille dinàr, mentre io non la stimerei meno.» «Perché non ve li darei?», aggiunse la vecchia, «dovete solo dare il vostro consenso alla vendita, ed io ve li verserò subito.» Il re Badr, vedendo la vecchia così poveramente vestita, non poté capire dove avrebbe trovata una somma così grossa. Per provare se avrebbe mantenuto l'accordo le disse: «Datemi il danaro, e la cavalla è vostra». Subito la vecchia slacciò una borsa che aveva attaccata alla cintura, e dandogliela esclamò: «Abbiate la bontà di scendere, per controllare se ho tutta la somma. Nel caso non l'avessi qui, potrei darvi subito il resto, perché la mia casa non è lontana». Lo stupore del re Badr fu grandissimo quando vide la borsa, per cui rispose: «Buona madre, non vedete che quello che vi ho detto è stato per ridere? Io vi ripeto che la mia cavalla non è in vendita». Il vecchio che era stato testimone di tutto questo colloquio, prese la parola: «Figlio mio», disse al re Badr, «bisogna che sappiate una cosa che vedo che ignorate. In questa grande città non è permesso in alcun modo mentire, pena la morte. Perciò ora non potete dispensarvi dal prendere il danaro di questa borsa, e di darle la vostra cavalla, poiché essa ve ne dà la somma che avete chiesto. Fareste meglio a concluder la cosa senza rumore, per non esporvi alle sciagure che potrebbero derivarvene». Il re Badr, molto afflitto per essersi impegnato in quell'affare con tanta leggerezza, scese a terra con grandissimo dispiacere. La vecchia si impadronì rapidamente della briglia, e la tolse alla cavalla, e presa nella mano dell'acqua di un ruscello che scorreva in mezzo alla via, la gettò sulla cavalla, dicendo queste parole: «Figlia mia, lascia questa strana forma e riprendi la tua!». La trasformazione si fece in un momento e il re Badr svenne al veder comparire la regina Lab, e sarebbe caduto per terra, se il vecchio non lo avesse sostenuto. La vecchia, che era la madre della regina Lab, e che le aveva insegnato tutti i segreti della magia, abbracciò la figlia per dimostrare la sua gioia, poi in un istante fece apparire con un fischio un orribile genio, di grandezza gigantesca. Il genio si caricò il re Badr sopra una spalla, strinse a sé con un braccio la vecchia e la regina maga, e li trasportò in un momento nel palazzo della regina Lab, nella Città degli Incanti. Furiosa la regina maga fece grandi rimproveri al re Badr appena fu di ritorno nel suo palazzo, dicendogli: «Ingrato, in tal modo il tuo indegno zio e tu mi avete dimostrata la vostra riconoscenza dopo tutto quello che ho fatto per voi? Vi mostrerò, all'uno e all'altro, ciò che meritate!». Senza più dirgli altro, prese dell'acqua e gettandogliela in viso disse: «Lascia questa figura e prendi quella d'un brutto gufo!». Le sue parole ebbero effetto, e allora comandò a una delle sue donne di chiudere il gufo in una gabbia, e di non dargli né da bere, né da mangiare. La donna portò via la gabbia, ma senza obbedire all'ordine della regina Lab, vi pose da mangiare e dell'acqua. E oltre a ciò, siccome era amica del vecchio Abdallàh, mandò ad avvertirlo segretamente di quanto la regina aveva fatto a suo nipote, e del suo proposito di farli morire l'uno e l'altro, perché trovasse il modo di impedirglielo e pensasse alla propria salvezza. Abdallàh vide che non si poteva scendere a patti con la regina Lab, e non fece che fischiare in un certo modo. Subito apparve davanti a lui un gran genio con quattro ali, e gli chiese per quale motivo lo avesse chiamato. «Lampo», gli disse (così infatti, si chiamava quel genio), «si tratta di conservare la vita del re Badr, il figlio della regina Giulnàr. Va dunque al palazzo della maga e trasporta subito nella capitale della Persia la donna piena di compassione a cui la regina ha dato la gabbia in custodia, perché essa informi la regina Giulnàr del pericolo che corre il suo figlio, e del bisogno che ha del suo aiuto. Ma bada di non spaventarla, presentandoti davanti a lei, e di dirle chiaramente da parte mia ciò che deve fare.» Lampo disparve e giunse in un momento al palazzo della maga. Dopo aver istruita la donna, la rapì nell'aria, e la trasportò nella capitale della Persia, dove la posò sul terrazzo che stava davanti all'appartamento della regina Giulnàr. La donna discese per la scala che vi conduceva, e trovò la regina Giulnàr e la regina Farasha, sua madre, che parlavano della triste cagione della loro afflizione. Essa fece loro una profonda riverenza, e da ciò che narrò loro, esse compresero che il re Badr aveva bisogno di essere prontamente soccorso. A questa notizia la regina Giulnàr provò dapprima una grande gioia, che dimostrò alzandosi dal suo posto e abbracciando la cortese donna, per provarle quanto le fosse grata per ciò che aveva fatto. Poi, subito, uscì e comandò che si suonassero le trombe e i tamburi del palazzo per annunziare a tutta la città che il re di Persia sarebbe ben presto giunto. Ritornando, trovò il re Salih, suo fratello, che la regina Farasha aveva già fatto venire. «Fratello mio», gli disse, «il re tuo nipote e mio caro figlio è nella Città degli Incanti, prigioniero della potenza della regina Lab. Tocca tanto a te quanto a me andarlo a liberare, e non vi è un momento da perdere!» Il re Salih riunì un potente esercito di soldati dei suoi stati marini, e s'alzò ben presto dal fondo del mare. Chiamò anche in suo soccorso i geni suoi alleati che arrivarono con un altro esercito più numeroso del suo. Quando i due eserciti furono riuniti, ne presero il comando la regina Farasha, la regina Giulnàr e le principesse. Si alzarono in volo e scesero pochi momenti dopo sul palazzo e sulla Città degli Incanti, in cui la regina maga, sua madre e tutti gli adoratori del fuoco furono distrutti in un batter d'occhio. La regina Giulnàr si era fatta accompagnare dalla schiava della regina Lab, che era andata a portarle la notizia dell'incantesimo e della prigionia del re suo figlio, e le aveva raccomandato di non aver altra cura nella mischia, se non quella di andar a prendere la gabbia e portargliela. Quest'ordine fu eseguito come desiderava, e, aperta personalmente la gabbia, ne trasse fuori il gufo, e gettando su lui dell'acqua, che si era fatta portare, disse: «Figlio mio caro, lascia questa figura strana e riprendi quella d'uomo». Subito la regina Giulnàr vide non più il brutto gufo, ma il re Badr suo figlio. L'abbracciò allora in una esplosione di gioia indescrivibile. Non potendo risolversi a lasciarlo, fu necessario che la regina Farasha, per poterlo abbracciare a sua volta, glielo strappasse dalle braccia. Poi fu abbracciato ugualmente dal re suo zio, e dalle principesse sue cugine. La prima cura della regina Giulnàr fu di far cercare il vecchio Abdallàh, cui era debitrice della salvezza del re di Persia, e appena le fu condotto davanti, gli disse: «Vi devo tanto che non vi è nulla che non sia pronta a fare per mostrarvi la mia riconoscenza; dite voi stesso che cosa posso fare per voi e sarete subito soddisfatto». «Grande regina», egli rispose, «se la signora che vi ho inviato vuol consentire alla proposta di matrimonio che le faccio, e se il re di Persia vuole accogliermi alla sua corte, consacrerò volentieri il resto dei miei giorni al suo servizio.» La regina Giulnàr si volse immediatamente dalla parte della donna, che era presente, e che fece comprendere con gentile pudore di non avere ripugnanza per quelle nozze; la regina fece loro prendere vicendevolmente la mano, e con il re di Persia ebbe cura della loro fortuna. Questo matrimonio dette occasione al re di Persia di prendere la parola e di rivolgersi alla regina sua madre, per dirle sorridendo: «Signora, sono lietissimo di questo matrimonio di cui siete l'artefice, ma ne resta uno a cui dovreste pensare». La regina Giulnàr non comprese dapprima di quale matrimonio intendesse parlare: poi, dopo averci pensato un poco, capì e rispose: «Tu vuoi parlare del tuo, ed io vi consento molto volentieri». Ella guardò in pari tempo tutti i sudditi marini del re suo fratello e tutti i geni che erano presenti, e disse loro: «Partite, percorrete tutti i palazzi del mare e della terra, e venite a riferirci chi è la principessa più bella e più degna che avrete notata per il re mio figlio». «Signora», soggiunse il re Badr, «è inutile prendersi tutta questa pena. Voi senza dubbio non ignorate che io ho dato il mio cuore alla principessa Giàwhara soltanto udendo la descrizione della sua bellezza; poi l'ho vista, e non mi son pentito del dono che le avevo fatto, non essendovi né sulla terra né sotto le onde del mare una principessa che si possa paragonare a lei. E' vero che dopo la mia dichiarazione lei m'ha trattato in un modo che avrebbe potuto spegnere la fiamma di ogni altro cuore meno infiammato del mio, ma è scusabile, perché non poteva trattarmi meno rigorosamente dopo l'imprigionamento del re suo padre, del quale ero la causa, quantunque involontaria. Forse il re as-Samandal avrà cambiato parere, e lei non avrà ripugnanza ad amarmi e a sposarmi appena egli vi avrà consentito.» «Figlio mio», replicò la regina Giulnàr, «se non vi è nessun'altra, all'infuori della principessa Giàwhara capace di renderti felice, non è mia intenzione oppormi alle tue nozze, se è possibile combinarle. Il re tuo zio non ha che a far venire il re as-Samandal, e subito sapremo se è sempre così intrattabile come lo è stato finora.» Quantunque il re as-Samandal fosse stato strettamente custodito dal momento della sua prigionia, per ordine del re Salih, pure era sempre stato trattato con molto riguardo, e aveva familiarizzato con gli ufficiali che lo custodivano. Il re Salih si fece portare un braciere con del fuoco, su cui gettò una certa sostanza, dicendo delle parole misteriose; appena il fumo cominciò ad innalzarsi, il palazzo tremò e si vide ben presto comparire il re as-Samandal con gli ufficiali del re Salih che l'accompagnavano. Il re di Persia si gettò subito ai suoi piedi, e rimanendo in ginocchio disse: «Sire, non è più il re Salih che chiede alla maestà vostra in nome del re di Persia l'onore di imparentarsi con voi: è lo stesso re di Persia che vi supplica di fargli questa grazia, e di non farlo morire di disperazione». Il re as-Samandal non permise che il re di Persia restasse ai suoi piedi. L'abbracciò, e dopo averlo obbligato a rialzarsi, gli rispose: «Sire, sarei molto dolente di contribuire in qualche modo alla morte d'un monarca così degno di vivere. Se è vero che la vostra vita preziosa non può essere conservata senza il possesso di mia figlia, vivete, sire, ella è vostra. Ella è stata sempre obbediente alla mia volontà, e non credo voglia opporvisi proprio ora». Ciò detto, incaricò uno dei suoi ufficiali, che il re Salih gli aveva permesso di tenere presso di sé, di andare a cercare la principessa Giàwhara e di condurgliela immediatamente. La principessa Giàwhara era sempre restata là dove il re di Persia l'aveva incontrata. L'ufficiale la trovò e fu ben presto di ritorno con lei e le sue donne. Il re as-Samandal, dopo avere abbracciata la principessa, le disse: «Figlia mia, io ti ho dato uno sposo: egli è il re di Persia, qui presente, il monarca più compito che oggi vi sia nell'universo. Poiché egli ti ha preferito a tutte le altre principesse, siamo ora in dovere di dimostrargli la nostra riconoscenza». «Sire», rispose la principessa Giàwhara, «la maestà vostra sa bene che io non ho mancato mai alla deferenza che dovevo ai suoi ordini. Io sono sempre pronta ad obbedire, e spero che il re di Persia voglia dimenticare il cattivo trattamento che ho osato fargli subire, e credo che egli sia abbastanza giusto per imputarlo solo alla necessità.» Le nozze furono celebrate nel palazzo della Città degli Incanti con una solennità tanto più grande, in quanto tutti gli animali della regina maga, che avevano riprese le loro forme nel momento in cui ella era morta, erano venuti in quell'occasione a ringraziare il re di Persia, la regina Giulnàr, ed il re Salih, e assistettero alle cerimonie. Essi erano tutti figli di re, o principi di alto grado. Il re Salih, da ultimo, condusse il re as-Samandal nel suo regno e lo rimise sul suo trono. Il re di Persia, coronati i suoi desideri, partì e ritornò alla capitale di Persia con la regina Giàwhara, la regina Giulnàr, la regina Farasha e le principesse. La regina Farasha e le principesse vi restarono finché il re Salih non venne a riprenderle per ricondurle nel suo regno sotto le onde del mare. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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